VALORI FITOGEOGRAFICI



I Valori fitogeografici                             Di Cesare Lasen

Il territorio qui considerato è situato, notoriamente, presso un’area di confine tra due importanti regioni biogeografiche, quella alpina e quella dinarico-balcanica.

Esso rappresenta,  dunque, una soglia biogeografica e pur rien- trando  chiaramente  nella regione  alpina, supporta  influenze illirico-dinariche che  sono  espresse   da  significative presenze floristiche e da un consistente  livello di endemismo che vede nelle Prealpi Carniche uno dei centri conservativi e di differen- ziazione più importanti nell’arco alpino, quasi paragonabili al distretto insubrico e alle Alpi Marittime. La struttura geologica e le vicende glaciali contribuiscono a rendere questo  territorio orograficamente  complesso  e quindi  potenzialmente adatto ad accogliere habitat assai diversificati. In effetti si tratta di uno scrigno di biodiversità in cui ambienti prossimo-naturali assai selvaggi coesistono con ambiti in cui è stata la tradizionale atti- vità antropica, soprattutto  di natura  silvopastorale, esercitata per secoli, ad introdurre nicchie ecologiche che arricchiscono in modo  consistente  il patrimonio naturalistico. Geograficamente  quest’area  include i massicci del Col Nudo, Cavallo e Cansiglio, interessando  a livello amministrativo le province di Pordenone,  Treviso e Belluno.
Si tratta di un territorio in cui i livelli  di cono- scenza sono assai differenziati ma, nel com- plesso, si dispone  di una cospicua letteratu- ra geobotanica  che  poggia su due  compo- nenti  determinanti:  da  un  lato la foresta
del Cansiglio, che rappresenta  un unicum straordinario e sulla quale si sono  cimentati numerosi  studiosi, come  risulterà dalla breve  rasse- gna  bibliografica che sarà riportata alla fine del presente  capitolo; dal- l’altro il  fatto che  i  settori apparte- nenti alla Regione Autonoma Friuli- Venezia  Giulia sono  stati indagati in modo  dettagliato  dal  prof.  Poldini e  dai  suoi  collaboratori. Questa  Regione, infatti, è stata la prima in Italia a pubblicare un  atlante  corologico con  la distribuzione per  aree  di base delle specie di flora vascolare e dispone di una serie di contri- buti floristici e geobotanici che non trovano riscontro altrove se non, forse, nella Provincia Autonoma di Trento. Ciò non signi- fica che i livelli  di conoscenza  siano del tutto esaustivi e alcu- ne aree, quali lAlpago ad esempio, risultano certamente meno conosciute e mancano  di check-list aggiornate.
Altro elemento  determinante per spiegare l’elevata biodiversità del territorio è legato alla posizione marginale, a ridosso della pianura Veneta, con  rilievi prealpini che  intercettano  correnti oceaniche  apportatrici di umidità. Le elevate precipitazioni (da
1700 a oltre 2500 mm  l’anno) favoriscono una  vegetazione lussureggiante  che  viene contrastata  solo da situazioni edafi- che (forte acclività e terreni assai superficiali) molto primitive in cui si esprime bene la vegetazione pioniera dei substrati cal- careo-dolomitici, ovunque  dominanti.

 
BREVE SINTESI STORICO-BIBLIOGRAFICA

Il territorio considerato  è stato oggetto di numerosi  contributi. Tra  i più recenti, Lasen (2000) presenta  una sintesi dei valori biogeografici inerenti il Cansiglio  riportando una bibliografia già selezionata che, tuttavia, merita di essere  richiamata, sia pure in modo  molto sintetico.
Sulla foresta di questo straordinario alto- piano   
carsico,  che   giustamente  può essere considerato il nucleo centrale del territorio in oggetto, si hanno  dati storici sulla gestione e singole segnalazioni flo- ristiche, riportate nelle flore nazionali e regionali dell’epoca. Si deve arrivare alla  seconda   metà   del  secolo scorso, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, per registra- re un notevole  impulso delle ricerche, con le prime considerazioni fito- geografiche (ad esempio  sui fenome-ni  di  inversione   termica),   le  prime check-list delle riserve naturali, le sotto- lineature sul valore delle zone umide. A  questo  periodo  risalgono anche  le ben  note  e  fondamentali  ricerche di Hannes   Mayer  (con   la   guida   di Hofmann)  sui  boschi  di abete  bianco
del versante meridionale delle Alpi. Più o meno  contempora- neamente, anche  nel settore  friulano, sotto la spinta del prof. Poldini e  dei  suoi  collaboratori, sono  state avviate ricerche sistematiche che hanno portato, a partire soprattutto dalla fine degli anni ’80 e per tutto il decennio  successivo, sia a liste flo- ristiche complete  (il sopraccitato primo atlante corologico regionale  italiano), che  a  sintesi  fitosociologiche sui  diversi ambienti.
Questo  territorio, peraltro, non  è  mai  stato  trattato  unitariamente   e,  se  si escludono le  perle  più note e frequentate,  di alcune valli laterali e marginali non si hanno notizie pubbli-cate. Probabilmente  solo dalle liste flori- stiche di campagna  dei singoli ricercatori, si possono   trarre  indicazioni puntuali  e meno   generali.  Non  mancano,   infatti, contributi che affrontano in termini com- plessivi l’intero territorio prealpino veneto e friulano, ma si tratta di indicazioni di carattere divulgativo che poco aggiungono a quanto   noto.  Nell’ultimo decennio,   inoltre, sono  state  condotte  ricerche a livello di tesi dilaurea, che hanno  poi ispirato contributi scien- tifici. Numerose  le segnalazioni di carattere floristico, soprattutto ad opera  di C. Argenti per i versanti bellunesi e di S. Costalonga e R. Pavan per quelli friulani.

Si  desidera   qui  ringraziare in  particolare  gli amici Carlo Argenti di Belluno e  Severino Costalonga di Sacile che cortesemente hanno messo  a disposizione i loro dati, davvero molto importanti, con segnalazioni nuove che hanno sensibilmente  incrementato  le conoscenze  flo- rocartografiche di questo  settore.

EMERGENZE FLORISTICHE

Più che una sintesi tradizionale dei valori floris ci, che  rischierebbe  di risultare simile a quel
territori limitrofi, sembra  più efficace prospettare  una
tabella  a  pagg.  36-37   che  riassume  la presenza,  suddivisa nelle tre province, delle specie ritenute più significative per la loro rarità e vulnerabilità. La recente  pubblicazione  della lista rossa di Belluno (ARGENTI  & LASEN,  2004) consente  di indi- care, per questa provincia, anche il livello  di minaccia, dalle CR (gravemente  minacciate, a forte rischio di estinzione, almeno  a livello locale), alle EN (minacciate), alle vulnerabili (VU).
Per non  aumentare troppo  il  numero  di specie  in
lista, si è optato per escludere, tranne poche eccezioni, le NT,  cioè le specie  quasi  a rischio, che oggi non corrono perico-
li immediati ma che è bene  tene- re sotto  controllo. Nella tabella, in ordine alfabetico, si indica- no   anche:   l’habitat  elettivo (sintetizzato), la forma biolo- gica e l’elemento corologico, indicazione sintetica che  for- nisce l’idea del territorio in cui gravita  la  specie   (da   quelle cosmopolite,  diffuse  in  tutti  i continenti, a quelle endemiche, ristrette alle Alpi, o  a  un  settore  ancora  più limitato, ad esempio  le Alpi sudorientali). Per Treviso e Pordenone  ci si limita a indicare le presenza   senza  attribuzione  di  un  livello di minaccia. Si era, in effetti, pensato  di indicare la classificazione proposta  nelle liste rosse regionali (CONTI,  MANZI & PEDROTTI,  1997), ma sarebbe  stato troppo disomogeneo con la scelta effettuata per Belluno.
Le attuali conoscenze  sulla flora vascolare del territorio consentono di rilevare valenze assai superiori alla media, a conferma  degli elevati valori  biogeografici. Non  mancano  peraltro elementi  di fragilità che  confermano  la necessità  di attuare azioni di tutela e, soprattutto, di monitoraggio.
Dalla tabella  emergono   chiaramente   gli ambienti   più  vulnerabili  (zone   umide, prati, ambienti  termofili submediterranei, ecc.). Spicca l’elevato numero  di specie a rischio tra quelle a distribuzione eurimedi- terranea, ma non mancano  le temperato- fredde (circumboreali  ed  eurosibiriche). Tra le altre fasce di rilevante interesse biogeografico va annoverata quella collinare- pedemontana ricca di residui prati arido- steppici. Assai significativo è il  contributo delle specie a gravitazione illirica e sudorientale.
In Pian Cansiglio e nelle depressioni  prative  che   caratterizzano  l’altopiano,  le residue    lame    e    pozze    sono ambienti  di eccezionale  interesse,   e   non   solo   per   le valenze   floristiche.  Illoro contributo alla bio- diversità, e  anche   alla funzionalità ecosistemica,  è certamente straordinario. Per altri versi, le sponde  fango- se del Lago di Santa Croce, pur così vulne- rabili e soggette  a pressioni antropiche non trascurabili, offrono rifugio a entità specializzate ormai assai rare per la progressiva bonifica  delle zone umide.
Tra i biotopi di rilevante interesse vege- tazionale, g segnalati dalla Società Botanica e ripresi negli studi preli- minari al PTP (Piano  Territoriale Provinciale di Coordinamento),
vi  era  il  versante  Sud-Est del Monte Dolada. Gli eccezionali ambienti   prativi,  soprattutto xerotermofili,  stanno   evolvendo verso formazioni arbustive, con perdita  di  importanti siti  di  orchidee   (ad esempio  la stazione di Herminium monorchis a Curago) e dei bei prati in cui le smaglianti fioriture di asfodeli, narcisi, paradisia, Hemerocallis, ecc. sono sempre  meno  vistose. Si salva la cresta  con  le note  stazioni di Geranium argenteum,  Androsace villosa, Eritrichium nanum. Come ricorda Poldini in un suo contributo (solo in apparenza divulgativo) del 1982,  la zona delle Prealpi Clautane accoglie elementi di
Geranium argenteum
eccezionale valore fitogeografico che meglio di altri caratterizzano il territorio. Qui si localizzano le estreme  pene- trazioni insubriche, con Festuca alpestris, Leontodon tenuiflorus, Hymenolobus pauciflorus ecc., e  anche  specie orientali gravitanti all’estremità occidentale del proprio areale (Festuca laxa, Thlaspi minimum, Gentiana froehlichi, Primula wulfenia- na). Per endemismi  dolomitici quali Campanula  morettiana  e Primula tyrolensis si tratta delle  stazioni più sudorientali del loro areale. La componente endemica
locale è rappresentata da altre pre- gevoli entità quali: Galium marga- ritaceum,   Spiraea   decumbens subsp.   tomentosa,   Leontodon berinii e, soprattutto, da Arenaria huteri.   Da   citare  inoltre  che anche  Lembotropis  emeriflorus, con le importanti stazioni disgiunte,  rispetto   all’areale  insubrico, pur se  localizzato appena  fuori, in
sinistra idrografica del Cellina, contribui- sce    ad    arricchire   questo     territorio. Analogamente   va  ricordato,  in  ambienti simili, l’eccezionale e  recente  rinvenimento   di una specie illirico-balcanica, Daphne  bla- gayana.  Di estremo  rilievo, infine, la sco- perta e la descrizione di una specie carni- vora vegetante  su rupi stillicidiose e dedi- cata  appunto  al prof.  Poldini, Pinguicula poldinii, anch’essa nota per i rilievi  collina-
ri prealpini situati nei pressi di Tramonti , poco a Est del territorio in esame.


IL QUADRO  VEGETAZIONALE

Dalla pianura ai 2471 m del Monte Col Nudo sono  rappresentate tutte le fasce altimetriche  e  4  dei  5  piani  di  vegetazione (PIGNATTI,  1979),  con  la  sola  eccezione della fascia mediterranea.
Nella  fascia  cosiddetta   medio-eruopea, che dalla pianura e dai fondovalle risale i versanti soleggiati fin verso i 1000 m di altitudine, dominano  i boschi misti di latifoglie, soprattutto di querce e carpini. A causa dell’azione antropica, generalmente più intensa in prossimità della pianu- ra e del fondovalle, i boschi sono stati sostituiti da colture agrarie (peraltro marginali in questo  territorio) o da prati e pascoli (in passato  certamente assai più estesi  e  utilizzati). Rispetto alla situazione potenziale si osserva una ridotta partecipazione delle querce,  determinata  sia da fattori climatici naturali (elevata oceanicità) che da selezione  selvicoltu- rale, essendo noto  che  la ceduazione  fre- quente   favorisce soprattutto  il  carpino nero. Gli ornoostrieti sono,  infatti, i boschi  più  diffusi in  tutta  la  fascia submontana,  su   versanti  acclivi. I suoli  sono  spesso   poco  profondi  e impostati  su  falde di origine detritica. Gli ostrieti primitivi che vi sono insediati presentano  una  composizione   floristica simile a quella delle pinete con specie che tollerano assai bene  le variazioni di umidità dovute  al ruscellamento  superficiale (l’ab- bondanza di Erica carnea è un buon indizio).
Erica carnea
Soltanto su versanti meno ripidi, in cui il suolo non  viene  dilavato, si notano apprezzabili partecipazioni  di specie più esigenti, in particolare carpino bianco, specialmen- te a Nord. Interessante  è la situazione di alcuni ambienti più umidi (che  poggiano su rocce flyschoidi) in Alpago. Qui sono diffusi lembi  di  aceri-frassineti di  buon  valore  naturalistico (località  Torch,  Valzella).  Nelle  forre  dei  versanti  friulani si riscontrano anche  aceri-tiglieti.  Tutti gli ambienti  di forra, che esprimono elevata naturalità, sono floristicamente e naturalisti- camente  importanti. L’habitat 9180 delle formazioni del Tilio- Acerion è considerato  prioritario dalle direttive comunitarie. Di esso vi sono tracce importanti anche nella fascia bassomonta- na, nella foresta  del  Cansiglio (Lunario-
Acerion). Di rilevante e assoluto valore vegetazionale  sono  i  lembi residui di prati aridi, dislocati soprattutto nella fascia collinare del Vittoriese.  Essi includono entità  termofile, submediterraneo-steppiche,  a gravitazione   orientale. Spesso  questi  siti ospitano  una ricca fioritura di orchidee e in tal caso rientrano nell’habitat di Natura  2000,   il  6210, considerato   prioritario. Si tratta di brometi, stipeti e, soprattutto,  crisopogoneti. 
Al  margi-ne, tra i prati, oggi sempre  più spesso abbandonati, compresi quelli pingui e un tempo  regolarmente falciati e concimati, detti arrenatereti, e i  boschi cedui, si differenziano  consorzi  di orlo,  cioè   comunità   che caratterizzano i margini tra il prato  e il   bosco,  rientranti nell’alleanza  Geranion   sanguinei, ambiente  ottimale per molte
entità divenute ormai rare. Le zone più antropizzate, con vigneti, frutteti e piccole colture agrarie, sono pure assai interessan- ti per la conservazione  della biodiversità anche  se raramente ospitano specie rare in assoluto.

La fascia subatlantica, che corrisponde sostanzialmente  a quella montana,  da  800-900 a  1400-1600 m,  è  caratterizzata dalla prevalenza  di faggete e  boschi  misti di faggio e abete bianco. Essa è molto ben rappresentata e produce legname di pregio, una ricchezza da molti secoli sfruttata. Qui vegetano  i boschi più rigogliosi che denotano  tale unità geografica. Dalle faggete   termofile  dei   versanti  esterni   (habitat   9150   del Cephalanthero-Fagion)  si passa  alle faggete dei suoli mesici evoluti  (9130),  a  quelle   altimontane   ricche  di megaforbie   (esempio  eccellente   sul  Croseraz) 9140,  agli abieteti. 

Nelle depressioni del Cansiglio si osservano  anche  peccete   di dolina, in parte favorite da interventi selvicolturali, in parte anche da  fenomeni  di inversione  termica. Talvolta, su prati abbandonati,  l’abete rosso si comporta  da specie  pioniera.  Nelle  faggete  e  nei boschi misti con abete  bianco si rinvengono specie altrove  rare  in  tutte  le  Alpi Orientali, ad esempio  Veronica montana, a distribuzione centroeuropea,   come    l’ancor più   rara Cystopteris sudetica, da pochi anni acquisita alla flora italiana. Quest’ultima predilige boschi misti maturi e può essere  considera- ta un ottimo bioindicatore. Il corredo floristi- co  è  assai  ricco  di  componenti   orientali come dimostra l’abbondanza di
Veronica montana
Cardamine trifolia, alla quale si associano Euphor carniolica,   Lamium   orvala,   Denta enneaphyllos, e tante altre specie car teristiche di Aremonio-Fagion. In stazi ni fresche ed umide si nota ovunque potenzialità del frassino maggiore, s cie capace  di utilizzare elevate  quant di azoto. In Cansiglio sono  significati al proposito, le stazioni in cui abbon no   Allium  ursinum   e   Carex  remo Anche in questa  fascia vi sono prati, p lo         più   triseteti   (6520)   o   pasc (Festuco-cinosureti). Da segnalare co
il sottoutilizzo, l’elevata umidità e  la p senza di cospicue colonie di cervi fav scano la diffusione di Deschampsia  c spitosa,  in assenza  di interventi regol di falciatura o di pascolamento razio le. Di notevole valore sono le lame e g altri biotopi umidi che, oltre a increme tare la biodiversità,  rappresentano ha tat elettivi e fondamentali per la ripro zione di  molte  specie  animali. Nume sono le entità di lista rossa presenti insiti. Di valore eccezionale, ad esempio  il noto Lamaraz di Pian Cansiglio, sono le depressioni del Rhynchosporion che ospita- no anche la Drosera rotundifolia. In linea generale tutte le sor- genti, gli specchi  d’acqua, le lame,  anche  se  non  dovessero ospitare specie di particolare pregio, sono da ritenersi essenzia- li per la funzionalità dell’ecosistema e ad esse, opportunamen- te, sono  state  dedicate specifiche  attenzioni  come  si evince dalla bibliografia.
L’elevata oceanicità del clima, solo in parte attenuata  nell’altopiano e in Val Cimoliana da fenomeni  di continentalismo,  su base  prevalentemente termica, che non a caso favoriscono la competitività delle conifere, è osservabile in tutto il bacino con- statando  il livello  basso del limite del bosco, che si attesta sui 1700 m di quota  e, per effetto crinale, anche  più in basso. Il passaggio dalla fascia montana  a quella altimontana è graduale e segnalato dal portamento  degli alberi, con altezze via via minori e accentuazione   della  tipica ginocchiatura alla base. Anche  la  composizione   floristica cambia,  arricchendosi  di entità più microterme, tipiche degli arbusteti subalpini e degli ambienti lungamente  innevati. Spiccano in particolare i cespuglieti, ricchi di salici di varie specie (soprattutto  Salix appendiculata,  S.  glabra,  S.  hastata,  S.  waldsteiniana),   di
Salix  waldsteiniana)
 ontano verde, di rododendri, di ginepri nani, di felci. Un ruolo del tutto particolare è quello svolto dal pino mugo, specie emblematica di tutta l’area dolomitica e prealpina. Nella fascia esterna, esalpica, manca un vero bosco di conifere e la faggeta viene quindi a contatto diretto con le mughete. Per motivi orografici si sviluppano spesso  faggete primitive ricche di pino mugo e rodo- dendro  irsuto. A quote  elevate, in stazioni di dosso  o crinale, dilavate, anche aspetti acidofili con rododendro  ferrugineo (es. sul Guslon). Tuttavia le mughete  non  occupano  solo questa fascia subalpina di arbusti nani, ma scendono spesso  lungo i versanti detritici fino ad occupare  stazioni di fondovalle, feno- meno   particolarmente   evidente   nel  bacino  del  Cellina. La mugheta microterma basifila con rododendro  irsuto è conside- rata habitat prioritario (4070) dalle direttive comuni
tarie. Le radure sono  spesso  ricche di megaforbie e le popolazioni di ungulati, non meno  dell’avi- fauna, svolgono un  ruolo importante.  Queste presenze   segnano   il  passaggio   dalla  fascia subatlantica  a quella  boreale,  in genere  rappresentata   da  boschi  di conifere  ma  qui  di ridotto spessore  per  motivi orografici che  si sommano a quelli climatici. In questa  fascia boreale,   oltre  agli arbusteti,  in  cui  singoli esemplari  di faggio si spingono  fin verso  i 1700 m di quota, si notano le praterie subal- pine,  in passato  generalmente pascolate  e ggi sempre  più spesso ricche di camefite, in particolare ericacee  nane.  Le vere  praterie alpine  primarie rientrano  infatti nella fascia alpica, a quote  superiori ai 2000-2200 m, quindi in corrispondenza  di ambienti  fortemente  glacializzati. Le conche  subnivali del Monte Cavallo sono anch’esse uno scrigno di biodiversità, meritevole di essere  attentamente studiato  anche  per il  ruolo di nunatakker (isole rocciose rimaste  libere dai ghiacci in cui alcune specie  hanno   trovato  rifugio per  sopravvivere) svolto nelle glaciazioni quaternarie. Di qui la presenza di entità relittiche, subendemiche o al mar- gine dell’areale,  con   significative disgiunzioni (Geranium   argenteum,   Arabis  vochinensis, Festuca laxa, Grafia golaka).
Arabis  vochinensis
Un contributo  fondamentale al paesaggio  e alla  biodiversità  del  territorio in  esame   è, come    prevedibile,   quello   fornito   dagli ambienti  primitivi (quelli caratterizzati da  suoli
molto superficiali o addirittura privi di humus)  e azonali (non legati a una  particolare fascia altitudinale). Rupi e detriti, qui anche  a quote  basse,  ospitano  la più nobile flora alpina, con eccezionali fioriture e presenze  importanti di endemiti. 
Di valore fitogeografico unico sono  le pareti strapiombanti al riparo delle piogge battenti con l’en- demica  stretta Arenaria huteri (POLDINI L.,  MARTINI  F., 1976), che  dai versanti della  destra  idrografica  del   Cellina (Vajont,  Prescudin,   Messer)   raggiunge anche  stazioni bellunesi.
La comunità  vegetale  più  diffusa sulle pareti rocciose, con elevata umidità  relativa ma non  troppo ombrose,  è  l’associazione ende- mica  Spiraeo-Potentilletum  cau- lescentis,  descritta   da   Poldini (POLDINI,  1973). In simili condi- zioni   ecologiche,   in   ambienti ancora  più  di  forra,  è  diffuso  il Phyteumateto-Asplenietum   seelosii. Sulle rupi ombrose, con stillicidi, i  diversi aspetti  del  Cystopteridion con aggruppamenti  a Carex brachy stachys   (talvolta  anche   presso   la base,  nei  detriti di sottoroccia)  e  a Valeriana  elongata   (tipici  di  quote elevate).  Tra  gli ambienti  muscosi  delle  pareti  carsiche  del Cansiglio, sono diffusi aspetti a Sedum  hispanicum, ancora da studiare.
Carex brachy
Sui detriti, che rivestono notevole importanza, anche  paesaggistica, in alcuni settori del comprensorio, basti pensare  al fascino della Val Salatis, sono diffuse diverse comunità. Dallo Stipetum calamagrostidis delle ghiaie assolate  soggette  a ruscellamento intenso,  al  Moehringio-Gymnocarpietum  delle  pietraie  della fascia montana,  al Petasitetum  paradoxi che colonizza lave tor- rentizie a qualsiasi quota, al Papaveretum  rhaetici che occupa i ghiaioni lungamente  innevati di quota elevata. Su sabbie e detri- to più fine, anche  l’Athamantho-Trisetetum argentei è berappresentato.  La peculiarità fitogeografica più interessante  di que- sta zona è quella rappresentata dal Festucetum laxae, di chiara impronta illirica, che occupa, su detrito abbastanza  grossolano, versanti montano-subalpini  ben soleggiati in estate.
Numerose   sono  le  rarità floristiche che  insistono  in  questi ambienti,  generalmente poco vulnerabili ma  che  riflettono la storia più nobile di un territorio, con specie relittiche sopravvis- sute alle glaciazioni quaternarie e altre, di origine recente, che si sono differenziate proprio in questo periodo (Asplenium fissum, Alyssum ovirense, ecc.).


Tra gli altri ambienti azonali meritevoli di citazione, si rammen- tano i greti e gli alvei fluviali, che per la loro capacità di rigene- razione offrono spesso  spunti interessanti e meritano sempre un’attenta  ricognizione. Purtroppo  sono  note  le vicende  del dissesto idrogeologico che interessa soprattutto il bacino dellAlpago (basti citare la frana del Tessina e, triste memoria, la tragedia del Vajont). Ne consegue  che è difficile poter osservare ambienti  stabilizzati in cui il  regime  idrologico non  sia stato alterato da interventi antropici. Di qui la precarietà di molti popolamenti.   
Tra  i  ciottoli dei  greti di bassa quota  va citato soprattutto l’endemico Leontodonto berinii-Chondrilletum. Consorzi a  Calamagrostis  pseudophragmites sono  pure  ben differerenziati, così come i nuclei arborei del Salicetum eleagni, talvolta  ricchi di  olivello spinoso  (Hippophae   rhamnoides). Raramente  si presentano situazioni più mature  evolventi verso l’Alno incanae-Pinetum sylvestris.
Appena all’esterno del territorio in esame  si segnala l’esisten- za di un tipo di habitat assolutamente straordinario e di premi- nente  valore fitogeografico, i cosiddetti “magredi, sui quali fin dagli anni 70 si sono  concentrati studi e ricerche che hanno evidenziato l’originalità di queste  comunità erbacee  sviluppate sui suoli magri e alluvionali dei greti torrentizi. La situazione è purtroppo peggiorata a seguito delle pressioni esercitate dall’a- gricoltura specializzata (vite) e del rimaneggiamento  causato da  attività estrattive. Altrove anche  attività sportive e  piccole discariche abusive penalizzano la conservazione di questo eccezionale habitat che alberga specie floristiche di valore fito- geografico con endemismi  e disgiunzioni. Di carattere azona- le, anche  se  gravitano in genere  nella fascia submontana e bassomontana, sono le pinete, formazioni con pino nero e/o pino silvestre, che popolano  ambienti rupestri e suoli primitivi soggetti a forti variazioni di umidità. Il loro corredo floristico è sempre  assai interessante. Si tratta di ambienti che difficilmen- te per le condizioni orografiche hanno  possibilità evolutive, se non in tempi molto lunghi ed esse diventano così, pur rappre- sentando  stadi primitivi della serie, una componente stabile, e anche  esteticamente gradevole, del paesaggio. Nelle pinete a pino nero, che  rientrano nell’Orno-Ericion con Chamaecytisus purpureus e Thesium rostratum specie guida (non corrispondo- no necessariamente alle caratteristiche in senso  fitosociologico, in quanto possono non essere esclusive di quell’unità vegetazio- nale, ma  sono  altamente  indicative) spiccano  altri elementi  a gravitazione orientale quali Knautia ressmannii ed Euphorbia kerneri, con Allium ochroleucum, Euphrasia cuspidata, Campanula  thyrsoides e altre entità relativamente  rare e di interesse  fitogeografico.
Allium ochroleucum
Nelle radure boschive si possono osservare diverse altre comunità vegetali, ognuna delle quali fornisce utili informazio- ni sui fattori ecologici prevalenti. Così, ad esempio,  nella fore- sta  del  Cansiglio si segnala  l’Atropion, con  la rara ma  assai vistosa e velenosa belladonna,  gli aggruppamenti a Epilobium angustifolium, soprattutto in prossimità di casère e nelle taglia- te a quote elevate, cenosi a lampone  (Rubetum idaei), prene- morali, che stanno  colonizzando e chiudendo  radure prative, aspetti di degradazione in ambienti più umidi con Eupatorium cannabinum e Solanum dulcamara.  Assai ben  rappresentati anche i megaforbieti tipici dell’alleanza Adenostylion che caratterizzano luoghi freschi e lungamente  innevati, ricchi di nutrienti.   
Notevoli, ad  esempio,   comunità a  dominanza   di Senecio cordatus o di Impatiens noli-tangere. Anche la vegetazione  sinantropica, spesso  considerata  banale,  contribuisce ad arricchire la biodiversità. Non è raro il caso che essa possa ospitare autentiche rarità floristiche. Si citano i casi di Spergula arvensis  che  sopravvive presso  una  lama  del Cansiglio, di Peplis portula che occupa le sponde  fangose e soggette a cal- pestio di altre lame. Il contributo delle attività agrosilvopastora- li  tradizionali, quindi non  distruttive, alla bioversità di questo territorio è innegabile. Certamente  alcu- ni  ambienti   risentono   di  sfruttamenti intensivi che hanno impoverito i  suoli e che rendono  boschi e pascoli più magrie meno  produttivi rispetto alle loro caratte- ristiche potenziali. Si trattava, peraltro, di assi- curare la sopravvivenza alle popolazioni locali.  
In anni più recenti non  sono  invece mancati  interventi ecologicamente   assai  discutibili quali  i rimboschimenti  con conifere, le lavorazioni meccaniche  con le successive risemine nei pascoli, la manomissione di depressioni  umide.


Cesare Lasen, nato nel 1950 in una frazione omonima (comune di Feltre), vive in un paesino alle pendici del Monte S. Mauro (Vette Feltrine). Proveniente da una famiglia di contadini, gente povera, abituata alla dura vita di montagna, a fare tanto con poco, a non sprecare niente, ad imparare la legge della natura e a conviverci, dapprima è riuscito a diplomarsi perito chimico e poi a laurearsi in Scienze Biologiche.

Per 4 anni lavora al Centro Ricerche Termiche e Nucleari a Milano, ma il richiamo della sua terra e delle sue radici è troppo forte, gli mancano l'aria, i fiori, le montagne… Così ritorna a Feltre per dedicarsi all'insegnamento nelle scuole medie e superiori rivolgendo il suo interesse alla botanica, in particolare alla floristica, fitosociologia e geobotanica. La sua passione lo porta ad occuparsi di studi ecologici e applicativi, con particolare attenzione ai problemi della tipologia forestale, dei prati e di tutti gli habitat di "Natura 2000", ma in particolare dei temi connessi alla conservazione della natura e della valutazione della qualità e dell'impatto ambientale. Non si contano a tal proposito le consulenze, le collaborazioni con università, i convegni ai quali ha partecipato, gli studi e le pubblicazioni scientifiche.
Molti sono anche gli incarichi e le collaborazioni che ha ricoperto o ricopre presso istituzioni, archivi, comitati o redazioni: presidente dell'associazione editrice della rivista "Le Dolomiti Bellunesi", collaboratore dell'Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore, della Fondazione Angelini "Centro studi per la Montagna", primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (dal 1993 al 1998), componente del Comitato Scientifico Centrale del Cai, della Commissione Centrale Protezione Natura Alpina, presidente del Gruppo di Lavoro per i Parchi, membro della Giunta della Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, componente della Consulta Tecnica Nazionale per le aree naturali protette. Sui progetti delle aree SIC e Rete Natura 2000 ha lavorato per conto della Regione Veneto, della Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige e della Provincia Autonoma di Trento nella realizzazione di manuali di interpretazione degli habitat e per la redazione di cartografie vegetazionali di interpretazione degli habitat.
Ma la sua attività di ricerca lo impegna soprattutto nelle montagne dolomitiche dove, se per caso lo si incontra lungo un sentiero, in qualche cengia, viàz o ripido pendio, con il berretto da pescatore in testa, con quella borsa in tela che tiene a tracolla sul davanti – ci mette le piante per il suo erbario –, piegato con il busto verso il terreno, intento ad osservare una pianta, a fotografare un fiore o tutto preso con la lente d'ingrandimento per riconoscere una specie, non si direbbe di trovarsi davanti ad uno dei massimi botanici italiani. Ma lui è uno così: unisce la grande capacità di muoversi in terreni difficili e con grandi dislivelli, alle conoscenze tecnico-scientifiche che gli servono per studiare quella pianta o quell'ambiente.



Nessun commento:

Posta un commento