AMBIENTI ALPINI
All’uscita dal
percorso carsico si sale verso gli ambienti
alpini, dei ghiaioni, delle
rupi e delle mughete.
Le mughete (a) sono delle formazioni arbustive presenti in particolare
lungo pendii acclivi, su suoli poco evoluti
e spesso soggetti a frane e slavine.
Qui il pino mugo (Pinus mugo) rie-
sce a
resistere e a contrastare tali fenomeni franosi. Si tratta infatti di una pianta
dal portamento prostrato e altamente resi-
stente alle avversità meteoriche grazie all’elasticità del suo legno
(cespugli
di 2 metri
di altezza possono letteralmente
scomparire sotto pochi decimetri di neve
e, in primavera, ritor- nare nella posizione originaria). Le mughete,
dal punto di vista altitudinale, occupano una fascia
piuttosto ampia
che va dal fondovalle (400-500 m s.l.m.) su suoli detritici e rocciosi
sog- getti a correnti fredde e inversione termica, ai 2000 m a con- tatto
con i pascoli alpini.
Di conseguenza, salendo di quota si possono
incontrare for- mazioni molto diverse in cui il pino mugo è sempre presente
ma cambiano le specie che lo accompagnano. Abbiamo quin- di,
partendo
dal basso,
la mugheta
termofila (6a) (che vedremo più avanti vicino alla vegetazione degli ambienti
aridi), la mugheta montana (ax), che si insedia
dal limite del bosco ai 1600 m s.l.m., dove il mugo è accompagnato
da spe- cie arboree come
il sorbo montano (Sorbus
aria), il sorbo degli
uccellatori (Sorbus aucuparia), l’acero di monte
(Acer pseudoplatanus) o il salice stipolato (Salix appendiculata). Salendo di quota, dai 1800 ai 2000 m, sempre sui suoli detri- tici, incontriamo la mugheta microterma basifila (az) dove si
fa
più massiccia la presenza di rododendro irsuto (Rhododendron hirsutum), di ginepro nano (Juniperus nana) e di sesleria
comune (Sesleria varia), mentre i rari alberi assu- mono spesso un aspetto contorto e cespuglioso.
Dove il terreno si fa meno ripido, in corrispondenza di dossi, vallecole e pianori e dove la neve rimane
più a lungo, si crea- no le condizioni per la formazione di un suolo parzialmente umificato, acido,
che favorisce la diffusione di specie acidofile quali il rododendro rosso (Rhododendron ferrugineum), il mir- tillo nero (Vaccinium myrtillus) e il mirtillo di palude (Vaccinum
gaultheroides). Abbiamo
in questo caso
la mugheta microterma acidofila (ay).
Superata
la mugheta
incontriamo un’ampia aiuola dedicata alla vegetazione dei ghiaioni (b).
Questo tipo di ambiente
ha origine dal continuo disgregamento
delle pareti
rocciose che alimentano i pendii sottostanti con detriti di varia dimensione
e che, per gravitazione, si dispongono lungo il versante in base alla
loro dimensione: i frammenti
più minuti
si fermano in
prossimità della parete,
mentre con l’aumento della pezzatura,
le pietre via via più grosse si
dispongono a quote
più basse e in prossimità
dei cambi di pendenza del ter- reno.
Poiché i ghiaioni o macereti possono formarsi a tutte
le quote, la vegetazio- ne che si insedia è costituita
da specie diverse in funzio-
ne soprattutto dell’altimetria, della dimensione del detrito e dell’esposizione.
Naturalmente un ambiente così severo e dinamico
può essere popolato solamente da piante specializzate, che possono contare su un apparato radicale particolarmente sviluppato e robusto
e
una
parte aerea decisamente resistente al logorio fisico e meccanico causato dal contatto con le pietre.
Tornando alla
nostra aiuola, partendo dal
basso, fra i grossi massi ormai
stabilizzati, trovia- mo il cavolaccio verde (Adenostyles glabra), il farfaraccio niveo (Petasites paradoxus), la festuca
dei ghiaioni (Festuca spectabilis), e altre. Proseguendo verso l’alto, su ciottoli di media dimensione,
compare la festuca delle Alpi Giulie (Festuca laxa), l’atamanta
comune
(Athamanta cretensis), il romice scudato (Rumex scutatus), ecc. Infine, giunti in prossimità
della parete rocciosa, dove il ghiaione è più attivo e costituito da frammenti
di piccole dimensioni, incontriamo “l’associazione a papavero alpi-
no” (Papaver rhaeticum), accompagnato dall’erba
storna rotun- difoglia (Thlaspi rotundifolium), dalla petrocallis dei Pirenei (Petrocallys pyrenaica), dall’iberidella alpina (Hutchinsia alpina), ecc., che si insediano oltre i 2000 m di quota.
Il firmeto (c).
A fianco del ghiaione e separato
da questo da un sentiero lastricato troviamo
l’aiuola rocciosa che ospita le specie
propriamente alpine caratteristiche degli ambienti d’al- ta
quota che nelle nostre montagne costituiscono i pascoli naturali prossimi alla vetta.
La specie guida
è la carice rigida (Carex firma) da cui “firme- to” che è il nome
con il quale comunemente si
definisce tale associazione vegetale. Carex firma vive sugli sfasciumi delle rocce oltre i 1800 m di quota (dai 1200 m nei canaloni espo- sti
a
Nord)
sopportando
condizioni
difficili per la vita con escursioni termiche notevolissime (- 30° C /+ 50° C), anche nell’arco della giornata
sui versanti soleggiati. Non trascurabile è l’effetto abrasivo delle
sabbie sottili e dei granuli di ghiaccio
sollevati dal vento, il quale determina anche condizioni di forte traspirazione5. Per questo
motivo le specie che compongono l’associazione hanno acquisito nel tempo
forme di adattamento capaci di sopportare
tali situazioni. Ad esempio, la forma a pulvino
delle sassifraghe, il portamento
strisciante del came- drio (Dryas octopetala) e dei salici
nani, le
foglie coriacee delle carici o l’abbondante
pelosità di foglie e fusto come nel- l’androsace appenninica (Androsace villosa) hanno
la funzio- ne di limitare
la perdita d’acqua
dai tessuti.
Il popolamento a carice rigida, ricco di specie, molte delle quali endemiche, offre nel corso dell’estate fioriture vistose e inten- samente colorate come nel
caso delle genziane,
delle primu- le o della silene a cuscinetto (Silene acaulis).
Passiamo ora alla vegetazione delle rupi calcaree (d) collocata
in parte sulla spalla dell’aiuola del firmeto e parte sulla parete
roc- ciosa che chiude ad ovest le aiuole dedicate all’ambiente alpino.
Le casmofite (così vengono definite
le piante delle
rocce) con- trappongono ad
un ambiente ostile,
dove solo organismi alta- mente specializzati possono vivere, particolari adattamenti di
tipo morfologico: apparato radicale esteso alla
continua ricer- ca di acqua
e nutrienti
all’interno delle fessure,
foglie e fusti resistenti coriacei o pelosi spesso raggruppati in cuscinetti compatti detti anche pulvini (es. sassifraghe) all’interno dei quali si mantiene un microclima più favorevole
e l’humus formato
dalle parti morte della stessa pianta.
Poiché le rupi possono trovarsi
a tutte le quote, dai fondovalle alle vette dei monti,
e
con
condizioni d’insolazione o di ombreggiamento differenti, bagnate direttamente dalla pioggia
o in posizione riparata ma soggetta ad afflussi di
correnti umide o di stillicidio, le piante
che vi vegetano possono
pre- sentarsi come cuscinetti coriacei e resistenti sui versanti solivi o
di aspetto fragile e delicato negli anfratti
ombrosi e
umidi (felci del genere
Cystopteris, Arenaria huteri, ecc.).
Sulle pareti più compatte e inospitali le piante superiori
lascia- no il posto ad alghe e licheni. Anzi,
soprattutto questi ultimi possono essere considerati i veri abitanti delle rocce: i licheni
endolitici, ad esempio, sciolgono con i loro acidi la roccia calcarea e vi penetrano fino a qualche
millimetro
dalla superficie. Gli scambi
con l’atmosfera avvengono tra- mite sottili canali mentre
la luce riesce
a
filtrare
attraverso le rocce chiare.
Dal punto di vista altitudi- nale, alle quote
più elevate, le piante
rupicole popolano le stazioni prossime o frammiste al firmeto ma, rispetto
a questo, vivono in posizione
più esposta agli
sbalzi termici e al vento dove la neve rimane per poco tempo e non può far sentire
il benefico effetto
di ottimo isolante
termico. In questi ambienti
estremi vivono piante
quali la minuartia a otto stami (Minuartia
cherlerioides),
l’eritrichio nano (Eritrichium
nanum), la cinquefoglie delle Dolomiti (Potentilla
nitida), la sassifraga delle Dolomiti (Saxifraga
squarrosa), ecc. Nell’orizzonte montano la specie più caratteristica è la cin-
quefoglie penzola (Potentilla caulescens) che dà il nome all’associazione, con gli endemismi spirea
cuneata
(Spiraea decumbens subsp. tomentosa) e raponzolo chiomoso (Physoplexis
comosa). Degna di nota è l’arenaria di Huter (Arenaria huteri), un endemismo6 esclusivo dei versanti delle valli Cimoliana e Cellina dove occupa gli anfratti umidi. Spostandoci ancora di qualche metro giungiamo nei pressi
dell’aiuola dedicata alle vallette nivali
(e). Sono
questi i luo-
ghi dove la neve si ferma più a lungo (8-9 mesi all’anno): alla base dei canaloni, sul fondo di doline e catini
formati dallo sbarramento di cordoni
morenici o al riparo di grossi massi. Qui
con il tempo si raccoglie
un discreto strato
di argilla e limo trasportati dal movimento della neve e dall’acqua di fusione. Il suolo è quindi poco
permeabile e umido
per tutto
il periodo vegetativo, ma ricco di humus,
grazie ai resti organici deposi- tati prevalentemente dalle piante che vi crescono. Ai bordi delle vallette, laddove
la copertura nevosa è meno
prolungata, la buona disponibilità di nutrienti favorisce la crescita di alte erbe quali
gli aconiti (Aconitum
napellus
subsp.
tauricum, A.
lamarkii) e il cardo spinosissimo (Cirsium spinosissimum).
Le vallette
nivali
rappresentano gli aspetti più caratteristici della vegetazione
alpina. Le piante
che
le popolano devono com- piere il loro ciclo vitale in pochissimo
tempo
e addirittura in certe annate sfavorevoli questo può non avvenire
affatto. Campioni di adattamento sono i salici prostrati: Salix retusa e S. reticolata riescono a superare agevolmente il lungo periodo invernale e, con una serie di stratagemmi, prepararsi all’attività vegetativa addirittura in anticipo sullo scioglimento della neve. Caratteristica quest’ultima condivisa dalle soldanelle (S. alpina,
S. minima) il cui particolare fiore sbuca
dalla neve ancora in fusione. Altre specie
tipiche delle vallette nivali
sono la sassi fraga rosulacea
(Saxifraga andro- sacea), il ranuncolo alpino
(Ranunculus alpestris), la
carice nera (Carex parvifolia), e così via. A queste si aggiunge, eccezional- mente per
i monti calcarei dell’Alpago, la sibbaldia
(Sibbaldia procumbens), specie propria delle vallette nivali su substrati silicei.
Seslerieto (f). Allontanandoci dalle vallette nivali e scendendo per il sentiero in parte erboso, superata l’aiuola
dei ghiaioni, giriamo ancora a destra
e ci inol- triamo nel pendio
erboso
che esemplifica
il pascolo subalpino a sesleria
(Sesleria varia) e carice sempreverde (Carex sem- pervirens) nei suoi
molteplici aspetti. Questo
popolamento, che si insedia sui
macereti6 calcarei posti
preferibilmente a solatio, è distribuito
su un’ampia fascia altitudinale che va dal limite del bosco in basso fino
al firmeto che lo sovrasta. L’opera di colonizzazione del ghiaione da parte del seslerieto
comincia con alcune specie pioniere
quali il camedrio alpino e i salici a spalliera (S. alpina,
S. serpyllifolia) che
formano
le prime zolle stabili di
vegetazione. Queste aumentano la pro- pria superficie dapprima in fasce
che
si allungano
nel verso della pendenza poi, con l’aumento della sostanza organica
nel suolo e l’arrivo di specie la cui azione di contenimento del
ghiaione è sempre più
efficace, avviene l’unione
delle fasce e la formazione di un pascolo omogeneo o interrotto qua e là
da massi emergenti. Tuttavia il seslerieto
mantiene
una certa
“dinamicità” dovuta alla mobilità,
seppur impercettibile, del versante
che, in funzione
della pendenza, è soggetto
alla gra- vità e all’azione della neve. Si creano quindi
delle discontinuità del cotico erboso con la formazione di un mosaico
di zolle e gradini (da cui il nome
di “prato
a scale”) con continui cambi di pendenza e la costituzione di microambienti
in grado di soddisfare le esigenze ecologiche
di
varie
specie vegetali. Infatti qui alcune piante
alpine (Erica carnea,
Polygala cha- maebuxus), più bisognose dal punto di vista termico, raggiun-
gono per loro le quote più alte in assoluto
(2800 m). Non c’è da stupirsi
quindi se nel seslerieto partecipano un numero
considerevole di specie diverse.
Nelle condizioni più favorevoli in cento metri quadrati di pascolo si possono
trovare
più di sessanta
specie,
molte delle
quali endemiche come Horminum pyrenaicum
e
Senecio abrotanifolius. Altre piante attirano lo sguardo dell’osservatore con le loro fioriture colorate: pensiamo all’astro alpino (Aster alpinus), all’a-
nemone narcissino (Anemone
narcissiflora), alle pediculari
(Pedicularis elongata
e P. rostrato-capitata), e infine alla
stella alpina (Lentopodium
alpinum) assunta
come simbolo delle alte rupi ma in
realtà pianta steppica
di origine asiatica
che
in quest’ambiente relati- vamente caldo e asciutto trova il luogo che gli è più congeniale.
Il festuceto (g). Contigua al seslerieto notiamo un’aiuola dove l’aspetto rupestre si fa più deciso
e i cespi di sesleria lasciano
il posto ai ciuffi pungenti di festuca alpestre. Questa specie, endemica delle Prealpi meridionali, si insedia sui ripidi pendii rocciosi calcarei
e su detrito di falda dei versanti
meridionali caldi e aridi posti generalmente a
bassa quota, raggiungendo i
2000
m nelle
stazioni più favorevoli. La specie guida di questa
associazione vegetale, Festuca alpe- stris, rappresenta un buon esempio
di adattamento a condizioni di aridità accentuata.
Le foglie,
per esempio, dall’aspetto cilin- drico e pungenti
al
tatto, sono formate
dal ripiega- mento in senso longitudina-
le delle due metà della lamina. Si forma
così
una fessura all’interno della quale avvengono gli scambi gassosi con
l’atmosfera. In condizioni di forte aridità le due
metà possono combaciare
limitando
al massimo la traspi- razione e quindi la perdita
di umidità.
L’apparato radicale,
sempre alla continua
ricerca d’acqua, è forte e voluminoso
e àncora saldamente la pianta al suolo secco e povero di sostanze nutritive.
L’associazione a festuca alpestre raccoglie numerose specie vegetali molte delle
quali sono endemismi propri delle Prealpi
meridionali lombarde e venete.
Spiccano fra tutte per dimensione le ombrellifere laserpizio sermontano (Laserpitium siler) e la motellina lucida (Ligusticum lucidum subsp.
seguieri) dal potente
apparato radicale a fittone
che penetra profondamen- te nel terreno;
la ginestra
stellata (Genista radiata), antico testi- mone del clima tropicale
dell’era terziaria (60
milioni di anni fa); la pedicolare spiralata (Pedicularis gyroflexa); la betonica bianca (Stachys alopecuros) e altre. La vegetazione delle roccette aride (h). Aggirando verso il basso la formazione a festuca alpestre
ci inoltriamo
in un’insenatura che separa il festuceto da un’altra aiuola rocciosa. È questo l’ambiente elettivo delle piante che crescono sulle roccette calde e aride con suoli sabbiosi,
permeabili e superficiali. Posto a bassa quota
questo ambiente
viene colonizzato da una vegetazione pioniera costituita prevalentemente da piante succulen- te quali
le
borracine (Sedum sexangulare, S. acre, S. montanum subsp. orientale)
e i semprevivi, perfettamente adattati ai luoghi
esposti ad un intenso soleggiamento e alla secchezza estiva. Spesso incontriamo queste
specie su manufatti che ricalcano caratteristiche simili agli
habitat originari. Pensiamo
ad esempio ai muri o ai tetti delle case da cui pren- de il nome il semprevivo dei
tetti (Sempervivum tectorum). Altre specie caratteristiche
delle roccette calde sono l’aglio montano (Allium lusitanicum), la garofanina
spaccasassi (Pethroragia
saxifraga), l’alisso montano
(Alyssum montanum), ecc. Ritornando sui nostri passi sino al cartel-
lone che illustra il Seslerieto ci inoltriamo
sul sentiero che ospita la vegetazione a ontano verde e salice di Waldstein (i). È la vegetazione che frequentemente si incontra al di sopra del limi- te
del bosco percorrendo
i versanti esposti a settentrione delle nostre montagne dove le elevate precipitazioni mantengono il suolo sempre umido senza che tuttavia si creino condizioni di ristagno idri-
co. Questo per la pendenza e per la natura drenante
del terreno. Mentre nelle catene montuose più interne l’ontano
verde forma dei popolamenti
quasi puri, nel gruppo Col Nudo – Cavallo oltre i 1500 metri si presenta frammisto a salice di Waldstein e, in minor misu- ra, a salice glabro.
L’ontano verde, grazie alla sua qualità di migliora-
tore della fertilità del suolo (le sue radici ospitano nei tubercoli radi-
cali colonie di microorganismi fissatori dell’azoto atmosferico), favo-
risce la crescita
di piante erbacee
di grossa taglia dette alte erbe o megaforbie. Sono queste il cavolaccio alpino (Adenostyles alliariae),
gli aconiti
(Aconitum napellus
subsp. tauricum, A. lamarckii), il gera- nio silvano
(Geranium sylavticum)
e altre.
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