Giardino Botanico Alpino del Cansiglio

Questo blog nasce da un profondo amore per il Cansiglio non solo come ambiente ma come una realtà ideale e cosmica che è legata alla nostra nascita come Centro Ricerca Piante Officinali Veneto.

Questo post, che state leggendo è il primo passo per avere una visione "pallida" d'un insieme che solo l'esperienza diretta vi potrà far comprendere.

Nella parte superiore troverete le varie pagine tematiche, con centinaia di foto, che analizzeranno le varie caratteristiche del giardino.

IL GIARDINO


Il Giardino Botanico Alpino del Cansiglio è stato istituito nel 1972  ed è stato realizzato dal dott. Giovanni Zanardo, ispettore dell’Azienda Statale per le Foreste Demaniali (A.S.F.D.), su un’idea del prof. Giovanni Giorgio Lorenzoni, docente all’Università di Padova. Il Giardino è stato dedicato alla memoria del prof. Lorenzoni nel 1994 ed è stato ufficialmente inaugurato nel 1995, in occasione del 450° anniversario dell’Orto Botanico padovano.



Differenza tra un Orto botanico e di giardino Botanico

Gli orti botanici nascono come necessità delle varie università di medicina e farmacia d’una corretta identificazione delle piante curative visto i  frequenti errori e frodi, con grave danno
per la salute pubblica. Proprio per questa ragione i primi Orti botanici vennero denominati Giardini dei Semplici ovvero Horti simplicium Giardino dei Semplici". Il primo orto botanico del Mediterraneo, fu creato da Matteo Silvatico nell’ambito della Scuola Medica Salernitana  di (XIII - XIV secolo).

Nel 1454 fu fondato quello di Pisa, che cambiò per tre volte la sua sede, mentre più antico Orto botanico universitario del mondo tuttora esistente fu istituito, su delibera del Senato della Repubblica Veneta, a Padova nel 1545. L’orto botanico fu creato su un terreno dei Monaci Benedettini di Santa Giustina, per la coltivazione delle piante medicinali, che allora costituivano la grande maggioranza dei "semplici", cioè di quei medicamenti. L'istituzione di un Horto medicinale (con circa 1800 piante), avrebbe in tal modo  permesso agli studenti un più facile riconoscimento e studio delle piante medicinali evitando errori e sofisticazioni.

L'Orto botanico sia per la sua importanza sia per la preziosità delle piante contenute fu circondato da un muro per contrastare i numerosi furti notturni (da cui anche i nomi di Hortus sphaericus, o Hortus cinctus, o Hortus conclusus).
Nei secoli seguenti fu continuamente arricchito con piante provenienti da varie parti del mondo perdendo, in parte, il suo scopo di “raccolta” di piante ad uso curativo dando maggior spazio all’aspetto quello botanico.



Giardino Botanico Alpino

Il giardino botanico è una “raccolta” di piante tipiche della zona in cui viene istituito (alpino) suddividendolo a secondo degli ambienti presenti. Nel giardino botanico del Cansiglio sono  raccolte oltre 700 specie di piante presenti nell'area del Cansiglio e Col Nudo-Cavallo, suddivise per ambienti come la pecceta, gli ambienti  umidi, la lama (stagno), le torbiere in un percorso educativo e botanico d’estrema rilevanza dove le zone “naturali” sono completate da singole aiuole trasformate in veri e propri habitat.


L’insieme degli habitat  ha favorito lo sviluppo d’un insieme paesaggistico d’estrema bellezza dove dalle 58 specie presenti nel 1978 si è passati alle quasi 700 attuali, con la speranza d’avvicinarsi il più possibile alle circa 1500 specie presenti nel massiccio.



L’importanza delle visite Erboristiche

Se l’indiscussa bellezza del luogo e degli habitat è evidente altrettanto appare l’attento osservatore  che la progettazione e la gestione di questo giardino, come di altri giardini, è stata caratterizzata più da un interesse botanico e naturalista che da quel desiderio antico dell’ Hortus simplicium, ossia delle piante ad uso curativo. Difatti, dopo alcuni  anni d’esperienza come guida  nel giardino, ho compreso che le persone
Dott.ssa Silvia Nogarol Centro ricerca Piante Officinali Veneto
partecipano alle visite guidate botaniche con estrema superficialità visto la distanza tra il linguaggio botanico e il normale sentire, portandosi poi a casa solo un vago ricordo di quanto descritto e visto mentre, se la visita guidata pone l’accenno sull’utilizzo delle piante a scopo curativo l’atteggiamento cambia immediatamente mettendo il visitatore in diretto collegamento tra le sue curiosità o “patologie” e le piante che in tutta la loro bellezza sono proprio lì,di fronte a lui, stimolandolo nei giorni seguenti alla ricerca ed allo studio.

Il giardino botanico alpino del Cansiglio rappresenta una realtà molto importante per la zona, non solo per la sua bellezza e funzionalità ma perché permette di osservare e conoscere un elevato numero di specie vegetali e di habitat spazialmente lontani tra loro anche parecchi chilometri. Nel Giardino si è voluto infatti accogliere la flora e la vegetazione del massiccio Cansiglio-Col Nudo-Cavallo, articolata e organizzata in un complesso di ambienti diversi, es. prati, luoghi umidi, rocce e boschi.


Il Giardino è ubicato in una posizione centrale dell’Altopiano del Cansiglio, occupa un’area calcarea di circa 3 ha a poco più di 1000 m di quota e le aiuole si dislocano su diversi livelli, separate da prati ed alberi. La moderna rappresentazione in aiuole-habitat permette ai visitatori di conoscere ed
apprezzare ambienti che ormai si stanno facendo rari e in alcune zone sono del tutto scomparsi. Dal tempo della sua istituzione, l’area è stata ampliata grazie all’annessione di un’interessante zona carsica con doline e un piccolo inghiottitoio naturale (Boral del Giaz), alla creazione di uno stagno o lama, che rappresenta un caratteristico luogo umido del Cansiglio con le relative specie igrofile ed acquatiche e al completamento della rete di sentieri che collegano le varie parti.


Caratteristiche ambientali


L’area geografica in cui è localizzato il Giardino Botanico Alpino è delimitata a Nord dalle valli del Vajont- Val
digitale grandiflora
Cimoliana-Val Cellina; ad Ovest dalla Valle del Fiume Piave, dal canale Rai, dalla Val Lapisina; a Sud dal raccordo dell’alta pianura trevigiana con il massiccio del Cansiglio ed a Est dal raccordo della pianura friulana col massiccio del Monte Cavallo.

Il Giardino è ubicato presso un’ampia area di confine tra la regioni biogeografiche alpina e quella dinarico-balcanica, includendo i massicci del Col Nudo–Cavallo e Cansiglio (Provincie di Belluno, Treviso e Pordenone). Per tale motivo l’ampio territorio in cui è inserito risulta orograficamente complesso e quindi potenzialmente adatto ad accogliere habitat assai diversificati. In effetti si tratta di uno scrigno di biodiversità in cui ambienti prossimo-naturali assai selvaggi coesistono con ambiti in cui è stata la tradizionale attività antropica, soprattutto di natura silvopastorale, esercitata per secoli, ad introdurre nicchie ecologiche che arricchiscono in modo consistente il patrimonio naturalistico. Non sono poche inoltre le influenze illirico-dinariche, rappresentate da significative presenze floristiche ed endemismi.
Nel Giardino vengono attualmente conservate numerose specie minacciate (Drosera rotundifolia, Rhynchospora alba, Iris cengialti) e vulnerabili (Hottonia palustris, Gentiana
Drosera rotundifolia
pneumonanthe, Menyanthes trifoliata, Cypripedium calceolus, Lilium carniolicum, Primula wulfeniana, Alyssum ovirense); al suo interno vi sono inoltre interessanti emergenze geomorfologiche, osservabili lungo il sentiero di visita, che ne esaltano la valenza naturalistica in senso lato. In particolare sono evidenti gli effetti erosivi del fenomeno carsico, che ha modellato le rocce in forme molto caratteristiche. All’interno del Giardino, vi è anche un piccolo esempio di pozzo carsico, considerato un “pozzo a neve” perché questa vi rimane per quasi tutto l’anno, creando un microclima assai caratteristico. Nel Giardino è stato realizzato, con la collaborazione del Gruppo Speleologico CAI di Vittorio Veneto, un laboratorio di geomorfologia all’aperto il cui scopo è quello di misurare la dissoluzione chimica e l’erosione nelle rocce carsificabili e non carsificabili.

Ambienti e Percorsi di visita

Numerosi e diversificati sono gli ambienti proposti all’interno del Giardino al visitatore; pannelli didattici e cartellini completano in loco la descrizione degli ambienti presentati di seguito, seppur limitandosi ai principali ambienti del comprensorio territoriale del Cansiglio-Cavallo-Col Nudo, lasciando al visitatore la scoperta degli altri.



Il molinieto


È il prato umido a gramigna liscia (Molinia coerulea), si insedia in suoli umidi, più o meno torbosi, dove la falda acquifera è superficiale. Il diverso grado di imbibizione del terreno conferisce una fisionomia differente che va dall’aspetto tipico, dove il cotico erboso è più regolare ed omogeneo e assume la forma di un prato, a quello più umido, a volte temporaneamente inondato, con cotico discontinuo formato da grossi cespi di molinia alternati ad avvallamenti dove crescono la calta palustre (Caltha palustris), la radicchiella a pappo giallastro (Crepis paludosa), la lisca dei prati (Scirpus sylvaticus).



La "lama" presente all'interno del Giardino Botanico del Cansiglio


La lama


In prossimità del molinieto troviamo uno stagno, denominato localmente “lama”. Si tratta di uno specchio d’acqua tipicamente circolare, originatosi dalla impermeabilizzazione del fondo di una dolina in seguito alla deposizione dei materiale argilloso quale residuo della dissoluzione del calcare contenuto nella Scaglia Grigia. In un ambiente carsico come
quello del Cansiglio la presenza di questi specchi d’acqua, usati anche come pozze d’alpeggio, diviene fondamentale in quanto sono gli unici luoghi in cui permane una riserva d’acqua anche in periodi di siccità. Qui vegetano varie specie quali la vistosa tifa maggiore (Typha latifolia), la lisca lacustre (Schoenoplectus lacustris), la veronica beccabunga (Veronica beccabunga) e la giunchina d'acqua (Eleocharis palustris).


La mugheta montana


Sono delle formazioni arbustive presenti in particolare lungo pendii scoscesi, su suoli poco evoluti e spesso soggetti a frane e slavine. Qui il pino mugo (Pinus mugo) riesce a resistere e a contrastare tali fenomeni franosi. Si tratta infatti di una pianta dal portamento prostrato ed altamente resistente alle avversità meteoriche grazie all’elasticità del suo legno (cespugli di oltre 2 m di altezza possono letteralmente scomparire sotto pochi decimetri di neve e in primavera ritornare nella posizione originaria). Dal punto di vista altitudinale le mughete occupano una fascia piuttosto ampia che va dal fondovalle (400-500 mslm) su suoli detritici e rocciosi soggetti a correnti fredde e inversione termica, ai 2000 m a contatto con i pascoli alpini. In alcune aiuole del Giardino sono rappresentati i diversi ambienti che si incontrano salendo di quota lungo i versanti delle cime montuose circostanti, si tratta di formazioni in cui il pino mugo è sempre presente ma cambiano le specie che lo accompagnano. Abbiamo quindi, partendo dal basso, la mugheta termofila, ubicata in prossimità di ambienti aridi, la mugheta montana, che si insedia al limite del bosco dai 1600 m s.l.m., dove il mugo è accompagnato da specie arboree come il sorbo montano (Sorbus aria), il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), l’acero di monte (Acer pseudoplatanus) o il salice stipolato (Salix appendiculata).



La mugheta microterma


La mugheta microterma basifila si incontra tra dai 1800 ai 2000 m, sempre sui suoli detritici, dove si fa più massiccia la presenza di rododendro irsuto (Rhododendron hirsutum), di ginepro nano (Juniperus nana ) e di sesleria comune (Sesleria varia), mentre i rari alberi assumono spesso un aspetto contorto e cespuglioso. Dove il terreno si fa meno ripido, in corrispondenza di dossi, vallecole e pianori e dove la neve rimane più a lungo, si creano le condizioni per la formazione di un suolo parzialmente umificato, acido, che favorisce la diffusione di specie acidofile quali il rododendro rosso (Rhododendron ferrugineum), il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) ed il mirtillo di palude (Vaccinum gaultheroides). Abbiamo in questo caso la mugheta microterma acidofila.



La vegetazione dei ghiaioni


Nel Giardino è rappresentata in un’ampia aiuola. Essa ha origine dal continuo disgregamento delle pareti rocciose che alimentano i pendii sottostanti con detriti di varia dimensione e che, per gravitazione, si dispongono lungo il versante in base alla loro dimensione: i frammenti più minuti si fermano in prossimità della parete, mentre con l’aumento delle dimensioni, le pietre via via più grosse si dispongono a quote più basse e in prossimità dei cambi di pendenza del terreno. Poiché i ghiaioni, o macereti, possono formarsi a tutte le quote, la vegetazione che li colonizza è costituita da specie diverse in funzione soprattutto dell’altimetria, della dimensione del detrito e dell’esposizione. Naturalmente un ambiente così selettivo e dinamico può essere popolato solamente da piante specializzate, che possono contare su un apparato radicale particolarmente sviluppato e robusto ed una parte aerea decisamente resistente al logorio fisico e meccanico causato dal contatto con le pietre, dalle forti escursioni termiche e dalla violenza delle precipitazioni. Esaminando l’aiuola, partendo dal basso, fra i grossi massi ormai stabilizzati, troviamo il cavolaccio verde (Adenostyles glabra), il farfaraccio niveo (Petasites paradoxus), la festuca dei ghiaioni (Festuca spectabilis). Proseguendo verso l’alto, su ciottoli di media dimensione, compare la festuca delle Alpi Giulie (Festuca laxa), l’atamanta comune (Athamanta cretensis), il romice scudato (Rumex scutatus). Infine, giunti in prossimità della parete rocciosa, dove il ghiaione è più attivo e costituito da frammenti di piccole dimensioni, incontriamo il papavero alpino (Papaver rhaeticum), accompagnato dall’erba storna rotundifoglia (Thlaspi rotundifolium), dalla petrocallis dei Pirenei (Petrocallys pyrenaica), dall’iberidella alpina (Hutchinsia alpina), rinvenibili attorno ai 2000 m di quota.



I firmeti



Continuando il percorso, un’aiuola rocciosa ospita le specie propriamente alpine caratteristiche degli ambienti d’alta quota che nelle nostre montagne costituiscono i pascoli naturali prossimi alla vetta e sono chiamati firmeti. La specie guida è la carice rigida (Carex firma), da cui il nome “firmeto”. La Carex firma vive sugli sfasciumi delle rocce oltre i 1800 m di quota (dai 1200 m nei canaloni esposti a Nord) sopportando condizioni difficili con marcate escursioni termiche. Non trascurabile è l’effetto abrasivo delle sabbie sottili e dei granuli di ghiaccio sollevati dal vento il quale determina anche condizioni di forte traspirazione. Per ciò le specie di questo ambiente hanno acquisito nel tempo adattamenti capaci di sopportare tali situazioni. Ad esempio la forma a pulvino (o cuscinetto) delle sassifraghe, il portamento strisciante del camedrio alpino (Dryas octopetala) e dei salici nani, le foglie coriacee delle carici o l’abbondante pelosità di foglie e fusto come nell’androsace appenninica (Androsace villosa) hanno la funzione di limitare la perdita d’acqua dai tessuti.
centaurea scabiosa
Il popolamento a carice rigida, ricco di specie, molte delle quali endemiche, offre nel corso dell’estate fioriture vistose ed intensamente colorate come nel caso delle genziane, delle primule o della silene a cuscinetto (Silene acaulis).




La vegetazione delle rupi calcaree


Sono chiamate anche casmofite, cioè le piante delle rocce, e vivono in un ambiente ostile, dove solo organismi altamente specializzati possono resistere, sviluppando particolari adattamenti di tipo morfologico: apparato radicale esteso, alla continua ricerca di acqua e nutrienti all’interno delle fessure, foglie e fusti resistenti, coriacei o pelosi, spesso raggruppati in cuscinetti compatti detti anche pulvini (es. sassifraghe) all’interno dei quali si mantiene un microclima più favorevole e viene trattenuto l’humus formato dalle parti morte della stessa pianta. Poiché le rupi possono trovarsi a tutte le quote dai fondovalle alle vette dei monti e con condizioni d’insolazione o di ombreggiamento differenti, bagnate direttamente dalla pioggia o in posizione riparata ma soggetta ad afflussi di correnti umide o di stillicidio, le piante che vi vegetano possono presentarsi come cuscinetti coriacei e resistenti sui versanti esposti al sole o di aspetto fragile e delicato negli anfratti ombrosi e umidi (felci del genere Cystopteris, Arenaria huteri) Sulle pareti più compatte e inospitali le piante superiori lasciano il posto ad alghe e licheni. Soprattutto questi ultimi possono essere considerati i veri abitanti delle rocce: i licheni endolitici, ad esempio, sciolgono con i loro acidi la roccia calcarea e vi penetrano fino a qualche millimetro dalla superficie. Gli scambi con l’atmosfera avvengono tramite sottili canali mentre la luce riesce a filtrare attraverso le rocce chiare. Dal punto di vista altitudinale, alle quote più elevate, le piante rupicole popolano le stazioni prossime o frammiste al firmeto ma, rispetto a questo, vivono in posizione più esposta agli sbalzi termici e al vento dove la neve rimane per poco tempo e non può far sentire il benefico effetto di ottimo isolante termico. In questi ambienti estremi vivono piante quali la minuartia a otto stami (Minuartia cherlerioides), l’eritrichio nano (Eritrichium nanum), la cinquefoglie delle Dolomiti (Potentilla nitida), la sassifraga delle Dolomiti (Saxifraga squarrosa). Nell’orizzonte montano la specie più caratteristica è la cinquefoglie penzola (Potentilla caulescens) che dà il nome all’associazione, con gli endemismi spirea cuneata (Spiraea decumbens subsp. tomentosa) e raponzolo chiomoso (Physoplexis comosa).



Il seslerieto


Un pendio erboso poco lontano esemplifica il pascolo subalpino a sesleria, o seslerieto, (Sesleria varia) e carice sempreverde (Carex sempervirens) nei suoi molteplici aspetti. Questo popolamento, che si insedia sui macereti calcarei posti preferibilmente a solatio, è distribuito su un’ampia fascia altitudinale che va dal limite del bosco in basso fino al firmeto che lo sovrasta. L’opera di colonizzazione del ghiaione da parte del seslerieto comincia con alcune specie pioniere quali il camedrio alpino e i salici a spalliera (S. alpina, S. serpyllifolia) che formano le prime zolle stabili di vegetazione. Queste aumentano la propria superficie dapprima in fasce che si allungano nel verso della pendenza poi, con l’aumento della sostanza organica nel suolo e l’arrivo di specie la cui azione di contenimento del ghiaione è sempre più efficace, avviene l’unione delle fasce e la formazione di un pascolo omogeneo o interrotto qua e là da massi emergenti. Tuttavia il seslerieto mantiene una certa “dinamicità” dovuta alla mobilità, seppur impercettibile, del versante che, in funzione della pendenza, è soggetto alla gravità e all’azione della neve. Si creano quindi delle discontinuità del cotico erboso con la formazione di un mosaico di zolle e gradini (da cui il nome di “prato a scale”) con continui cambi di pendenza e la costituzione di microambienti in grado di soddisfare le esigenze ecologiche di varie specie vegetali. Infatti qui alcune piante alpine (Erica carnea, Polygala chamaebuxus), più bisognose dal punto di vista termico, raggiungono le quote più alte in assoluto nel comprensorio (2800 m). Non c’è da stupirsi quindi se alla composizione del seslerieto partecipano un numero considerevole di specie diverse. Nelle condizioni più favorevoli in cento metri quadrati di pascolo si possono trovare più di sessanta specie molte delle quali endemiche come Horminum pyrenaicum e Senecio abrotanifolius. Altre piante attirano lo sguardo dell’osservatore con le loro fioriture colorate: pensiamo all’astro alpino (Aster alpinus), all’anemone narcissino (Anemone narcissiflora), alle pediculari (Pedicularis elongata e P. rostrato-capitata), ed infine alla stella alpina (Lentopodium alpinum) assunta come simbolo delle alte rupi ma in realtà pianta steppica di origine asiatica che in quest’area relativamente calda e asciutta trova l’ambiente che gli è più congeniale. Contigua al seslerieto notiamo un’aiuola dove l’aspetto rupestre si fa più deciso ed i cespi di sesleria lasciano il posto ai ciuffi pungenti di Festuca alpestre, a formare il festuceto.



Il festuceto


Questa specie, endemica delle Prealpi meridionali, si insedia sui ripidi pendii rocciosi calcarei e su detrito di falda dei versanti meridionali caldi e aridi posti generalmente a bassa quota, raggiungendo i 2000 m nelle stazioni più favorevoli. La specie guida di questa associazione vegetale, Festuca alpestris, rappresenta un buon esempio di adattamento a condizioni di aridità accentuata. Le foglie, per esempio, dall’aspetto cilindrico e pungenti al tatto, sono formate dal ripiegamento in senso longitudinale delle due metà della lamina. Si forma così una fessura all’interno della quale avvengono gli scambi gassosi con l’atmosfera. In condizioni di forte aridità le due metà possono combaciare limitando al massimo la traspirazione e quindi la perdita di umidità. L’apparato radicale, sempre alla continua ricerca d’acqua, è forte e voluminoso e àncora saldamente la pianta al suolo secco e povero di sostanze nutritive. L’associazione a festuca alpestre raccoglie numerose specie vegetali molte delle quali sono endemismi propri delle Prealpi meridionali lombarde e venete. Spiccano fra tutte per dimensione le ombrellifere laserpizio semontano (Laserpitium siler) e la motellina lucida (Ligusticum lucidum subsp. seguieri) dal potente apparato radicale a fittone che penetra profondamente nel terreno; la ginestra stellata (Genista radiata), antico testimone del clima tropicale dell’era terziaria (60 milioni di anni fa); la pedicolare spiralata (Pedicularis gyroflexa), la betonica bianca (Stachys alopecuros) e altre.



Le roccette aride


Poco lontano è presente un’altra aiuola rocciosa. È questo l’ambiente elettivo delle piante che crescono sulle roccette aride e calde con suoli sabbiosi, permeabili e superficiali. Posto a bassa quota questo ambiente viene colonizzato da una vegetazione pioniera costituita prevalentemente da piante succulente quali le borracine (Sedum sexangulare, S. acre, S. montanum subsp. orientale) e i semprevivi, perfettamente
sedum montano
adattati ai luoghi esposti ad un intenso soleggiamento e alla secchezza estiva. Spesso incontriamo queste specie su manufatti che ricalcano caratteristiche simili agli habitat originari. Pensiamo ad esempio ai muri o ai tetti delle case da cui prende il nome il semprevivo dei tetti (Sempervivum tectorum). Altre specie caratteristiche delle roccette calde sono l’aglio montano (Allium lusitanicum), la garofanina spaccasassi (Pethroragia saxifraga), l’alisso montano (Alyssum montanum).



La faggeta


In Giardino sono ben rappresentati gli ambiente relativi alle formazioni boschive presenti in Cansiglio nelle zone limitrofe del comprensorio Col Nudo – Cavallo. La formazione boschiva più diffusa è la faggeta. Il faggio (Fagus sylvatica) è la specie che maggiormente caratterizza la foresta del Cansiglio e le zone montane dell’Alpago. È una pianta che predilige condizioni climatiche non estreme, temendo fortemente le gelate precoci o tardive e la carenza di acqua. Dove le condizioni sono favorevoli il faggio può crescere dalle basse quote, nelle formazioni termofile, sino agli ambienti più severi dell’alta montagna a stretto contatto con il pino mugo (Pinus mugo). Nelle zone ottimali si hanno boschi puri di faggio o popolamenti misti con abete bianco (Abies alba) e abete rosso (Picea excelsa). Le folte chiome dei faggi non permettono il passaggio di molta luce per questo motivo molte specie (denominate geofite) grazie ai loro organi di riserva sotterranei anticipano la fioritura rispetto alla comparsa delle foglie del faggio. Dove però la copertura è particolarmente intensa il soprassuolo risulta quasi del tutto privo di vegetazione erbacea e coperto da un notevole strato di foglie secche.



La faggeta termofila


In Giardino sono ben rappresentati gli ambiente relativi alle formazioni boschive presenti in Cansiglio nelle zone limitrofe del comprensorio Col Nudo – Cavallo. Nel Giardino, in attesa di completare la zona che ospiterà i vari tipi di faggeta, le specie del sottobosco di faggio sono raggruppate in un’unica aiuola ulteriormente suddivisa in varie parti.Partendo dal lato dove è situato il cartellone illustrativo della faggeta, incontriamo una zona dedicata alla faggeta termofila con i cartellini di colore arancione. Questo bosco si sviluppa su terreni e pendii assolati della fascia submontana (600-1000 m s.l.m.) direttamente a contatto con formazioni più calde a carpino nero e orniello con pregevoli esempi sul lato meridionale del Cansiglio. Si tratta di situazioni dove la permeabilità del substrato accompagnato dall’acclività dei versanti porta alla formazione di un suolo superficiale poco evoluto e tendenzialmente arido. Ciononostante l’afflusso di correnti umide e l’abbondanza delle precipitazioni permette un sufficiente livello di umidità che garantisce una vegetazione erbacea ricca soprattutto in orchidee quali le cefalantere (Cephalanthera rubra C. longifolia C. damasonium), l’elleborine (Epipactis helleborine), la platantera (Platanthera bifolia) o di altre interessanti specie tipiche come il baccaro (Asarum europaeum) e la carice argentina (Carex alba).



La faggeta montana


Alla destra della faggeta termofila troviamo invece una zona dedicata alla faggeta montana (cartellini di colore verde) che nel comprensorio Alpago-Cansiglio offre degli splendidi esempi. Questa formazione boschiva, presente indicativamente dagli 800 ai 1300 m s.l.m., si sviluppa su suoli profondi, fertili, neutri e relativamente umidi. Qui al faggio si accompagnano sporadici esemplari di abete rosso, abete bianco, sorbo degli uccellatori, acero montano e maggiociondolo alpino. Specie erbacee tipiche sono le dentarie da cui la “faggeta a dentaria” (Dentaria enneaphyllos, D. pentaphyllos, D. bulbifera), l’uva di volpe (Paris quadrifolia), la lattuga montana (Prenanthes purpurea) e varie felci (Athyrium filix-foemina, Dryopteris filix-mas). Data l’ampiezza dell’areale occupato, la faggeta montana risulta diversificata in alcune subassociazioni come l’aggruppamento a mirtillo nero che l’avvicina alla faggeta acidofila. Proseguendo in senso antiorario, oltrepassato il sentierino che porta al centro dell’aiuola, incontriamo un aspetto della faggeta montana legato all’acidificazione del suolo. Tale processo è in parte prodotto dalla permanenza per periodi più lunghi della strato nevoso e soprattutto come conseguenza delle attività umane (pascolo, raccolta dello strame, ceduazione). Sempre con cartellini di colore verde sono segnalate le specie indicatrici di acidità come i mirtilli (Vaccinium myrtillus e V. vitis-idaea) e la tossillaggine alpina (Homogyne alpina). All’ombra di un piccolo esemplare di abete bianco (cartellini di colore blu) osserviamo alcune specie del bosco di abete bianco con la presenza di piante tipiche quali: saxifraga a foglie cuneate (Saxifraga cuneifolia), dentaria a tre foglie (Cardamine trifolia).



La pecceta


La pecceta è il bosco di abete rosso, presente ai bordi della piana del Cansiglio con discreti esemplari. Nella fascia altimetrica più elevata, o nelle situazioni in cui i fenomeni di inversione termica si fanno più marcati, le condizioni climatiche ed edafiche non permettono la presenza della faggeta. L’abete rosso diviene così protagonista dando vita a più o meno estese formazioni di bosco favorite anche dagli interventi selvicolturali che, già anticamente, hanno prediletto questa specie arborea per la sua capacità di fornire legname da opera e per la sua adattabilità alle condizioni climatiche più avverse. In qualche settore del Cansiglio ed in particolare nelle doline l’abete rosso è accompagnato da alcune specie caratteristiche delle peccete sub-alpine: i mirtilli (Vaccinium myrtillus e V. vitis-idaea), le pirole (Moneses uniflora, Orthilia secunda e Pyrola minor) e, in una località della foresta la rara Listera cordata poco osservabile per la sua piccola dimensione. Ciò fa pensare all’origine naturale di tali formazioni.



La mugheta termofila


La mugheta termofila si sviluppa nella fascia altitudinale che va dai 500 ai 1200 m, normalmente occupata dagli ostrieti e dalle faggete, su suoli calcarei poco evoluti, alluvionali o detritici ,interessati frequentemente da eventi franosi. In questi ambienti primitivi e particolarmente caldi il pino mugo risulta la specie dominante e solo sporadicamente si ha presenza di altre conifere quali il pino silvestre e il larice e latifoglie come il carpino nero e il faggio. Proprio le difficili condizioni ambientali impediscono l’evoluzione di queste formazioni in boschi più stabili. Si possono altresì incontrare dei caratteristici cespugli come il pero corvino (Amelanchier ovalis) il salice glabro (Salix glabra) o il rododendro cistino (Rhodothamnus chamaecistus) ed una vegetazione erbacea in cui abbonda l’erica carnicina (Erica carnea) frammista a piante come le vedovelle celesti (Globularia cordifolia), la cannella comune (Calamagrostis varia), l’uva orsina (Arctostaphylos uva-ursi), ecc.



I prati aridi


Con il termine di prati aridi vengono definiti quelle formazioni erbacee di collina o di bassa montagna che popolano i versanti soleggiati e caldi. I suoli calcarei, primitivi ed incoerenti consentono il rapido deflusso delle acque di precipitazione. L’aridità quindi dipende principalmente dalla natura del terreno (aridità edafica) e non dalla quantità di pioggia, pur sempre abbondante nella nostra regione. Anche il vento riveste un ruolo di primo piano nel già magro bilancio idrico. Difatti la circolazione di aria calda e secca inaridisce ulteriormente il clima delle stazioni più esposte: i dossi e i crinali. Contribuiscono talvolta, al mantenimento di queste condizioni gli incendi che trovano facile esca nelle erbe secche e magre e le utilizzazioni antropiche. Sulle Alpi i prati aridi rappresentano gli ultimi avamposti di specie “steppiche” che hanno avuto la loro origine nelle steppe centrasiatiche. Tali sono le graminacee del genere Bromus, Festuca e Stipa (di steppa, appunto) Il Bromo, il cui nome viene usato per indicare la vegetazione dei prati magri in generale, i Brometi, negli aspetti più freschi (meso-brometi) o più aridi (xero-brometi) è presente in quasi tutte le associazioni dei prati aridi. Ai Mesobrometi appartengono tutte le piante che incontriamo per prime risalendo il prato in cui sono ospitate: il forasacco eretto (Bromus erectus) con l’olmaria peperina (Filipendula vulgaris), il caglio zolfino (Galium verum), il cinquefoglio bianco (Potentilla alba). Qui il suolo è più evoluto, non solo per le condizioni ambientali più favorevoli, ma anche grazie agli interventi dell’uomo che hanno migliorato la qualità generale del suolo e con lo sfalcio ostacolato l’invasione di specie arboree e arbustive. Proseguendo in salita (in direzione dell’aiuola della faggeta) giungiamo nella parte più alta del prato dove trovano ricovero alcune specie dei xerobrometi che provengono dalla fascia pedemontana sovrastante la pianura, compresa fra Vittorio Veneto e Maniago. Qui la vegetazione xerofila (adattata all’aridità) prealpina si arrichisce di specie mediterranee e sudorientali come la specie guida forasacco condensato (Bromus condensatus), il mediterraneo vilucchio bicchierino (Convolvulus cantabrica) e poi santoreggia montana (Satureja variegata subsp. montana), enula assottigliata (Inula ensifolia).



Il festuco-cinosureto


Terminato il giro dei prati aridi attraversiamo un sentiero inghiaiato e seguendo l’indicazione di “Punto Panoramico”, ci inoltriamo nel percorso che ci farà conoscere alcuni aspetti dei prati del Cansiglio. Il primo tratto di sentiero costeggia un popolamento a Deschampsia caespitosa. Questa graminacea disdegnata dal bestiame per le foglie ruvide e taglienti, si sta diffondendo rapidamente grazie alla sua competitività nei confronti delle altre piante erbacee, occupando non solo i prati abbandonati o sottoutilizzati ma anche radure e boschi radi. Il prato che attraversiamo percorrendo il sentiero costituisce un esempio dei prati e pascoli della piana del Cansiglio e di Valmenera. Sono questi per la maggior parte riferibili al prato pingue a Festuca nigrescens e Cynosurus cristatus (festuco-cinosureto) nelle varie espressioni. Il festuco-cinosureto tipico si insedia sugli ambienti più favorevoli e con suolo più o meno profondo. La morfologia del terreno e l’esposizione possono favorire specie dei prati magri (mesobrometi) come Bromus erectus, Galium verum, ecc. sui versanti più asciutti e dove la roccia è a tratti affiorante. Se il suolo è argilloso e acidificato compaiono invece specie acidofile quali cinquefoglio tomentillo (Potentilla erecta), sparviere pelosetto (Hieracium pilosella), botrichio lunaria (Botrichium lunaria), ecc.



Il nardeto montano


Terminato il sentiero panoramico, giunti nelle immediate vicinanze dell’ingresso secondario, ci affacciamo verso un gruppo di aiuole che ospitano le specie più significative del nardeto montano. La cenosi prende il nome da Nardus stricta una graminacea dei suoli acidi dalla caratteristica infiorescenza "a pettine". Il nardo o cervino, che inizialmente popola le stazioni lungamente innevate su suoli acidi o acidificati, diviene predominante sulle altre specie erbacee per il fatto di essere poco appetita dal bestiame e resistente al calpestio dello stesso. L’eccessivo pascolamento protratto nel tempo favorisce la diffusione dei duri cespi del Cervino fra i quali però alcune specie dalle vistose fioriture possono compiere il loro ciclo vitale. Sono queste la genziana di Koch (Gentiana kochiana), l’arnica (Arnica montana), l’antennaria (Antennaria dioica) e altre.