AMBIENTI ARIDI - ALVEI - PRATI


AMBIENTI ARIDI E DEGLI  ALVEI TORRENTIZI


Ritornando ora sui nostri passi e superata  la faggeta termofila prendiamo  il sentiero inghiaiato che scende  alla nostra destra. Incontriamo   subito   a  sinistra  la  mugheta  termofila  (a). Questa  si sviluppa nella fascia altitudinale che  va dai 500  ai 1200 m, normalmente occupata  dagli ostrieti e dalle faggete, su suoli calcarei poco  evoluti, alluvionali o detritici interessati frequentemente da eventi franosi. In questi ambienti primitivi e particolarmente  caldi il pino mugo risulta la specie dominante e solo sporadicamente si ha presenza  di altre conifere quali il pino silvestre e il larice e latifoglie come  il carpino nero e il faggio. Proprio le difficili condizioni ambientali impediscono  l’e- voluzione di queste  formazioni in boschi più stabili.

Si possono   altresì incontrare  dei  caratteristici cespugli come  il pero corvino (Amelanchier ovalis) il salice glabro (Salix glabra) o il rododendro cistino (Rhodothamnus chamaecistus) e una vegetazione  erbacea  in cui abbonda l’erica carnicina (Erica car- nea)  frammista a piante  come  le vedovelle celesti (Globularia cordifolia), la cannella comune  (Calamagrostis varia), l’uva orsina (Arctostaphylos uva-ursi), ecc.

Subito dopo la mugheta  termofila, scendendo in direzione della lama, ci inoltriamo nei greti degli alvei di fiumi e torrenti (b). In questi ambienti la diversificazione dei tipi di vegetazione dipen- de dalla morfologia dei greti, dalla natura delle rocce e dalla dina- mica delle acque. Le differenze di pezzatura del materiale alluvionale è in relazione alla prossimità del sito alla montagna, alla pendenza e alla velocità dell’acqua che può trascinare a valle grossi massi o depositare,  nei punti di acqua lenta, limi e argille.

Si vengono a creare quindi situazioni diverse per umidità e disponibilità di nutrienti. In prossimità dell’acqua, su sabbie periodicamente  inondate,  ad  esempio  vegetano  la cannella  spondicola (Calamagrostis pseudophragmites) e meliloto bianco (Melilotus alba). Laddove invece si sono formati dei terrazzamenti, lambiti dalle acque solo nel corso di piene eccezionali, crescono i cespuglieti a salici (Salix eleagnos,  S. purpurea) a volte con olivello spi- noso  (Hippophae rhamnoides). Infine, se i processi di matura- zione  del  suolo  lo consentono, completano   la successione i boschi ripariali a ontano  bianco (Alnus incana).

Nel gruppo  del  Col Nudo-Cavallo la vegetazione  degli alvei torrentizi pre- senta delle sensibili differenze a seconda  dei versanti. Nella conca dellAlpago  al  basamento  calcareo,  i cui strati sono  poco  inclinati, se  non nella parte  sommitale,  si sovrappone una coltre di rocce più recenti, costitui- te da marne  e arenarie friabili.

Poiché   il   limite  superiore   1000-1200 m s.l.m.) di questo  tipo litologico  coincide  con  la quota  delle  sorgenti principali gran parte  del mate- riale che forma il letto dei torrenti alpagoti è ricco di limi e argille che sono  preferiti dalle piante più esigenti in umidità e nutrienti come: poligono nodoso (Polygonum  lapathifolium), rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia), forbicina comune  (Bidens tripartita).

Nel versante friulano invece gli strati sono interrotti da una vertiginosa muraglia che  precipita sulla val del Vajont e sulla val Cellina scaricando  imponenti  quantità  di detriti che,  trascinati dalle copiose  precipitazioni (medie  che superano  i 2500 mm annuali), raggiungono il fondovalle. La componente calcarea e permeabile  del  greto, frequentemente ringiovanito da  nuove deposizioni, permette quindi l’insediamento di specie schietta- mente  glareicole (delle ghiaie) che provengono dalle quote più alte quali il romice scudato  (Rumex  scutatus)  e l’arabetta alpi- na (Arabis alpina); mentre sui terrazzamenti in parte consolida- ti compare  il dente  di leone di Berini (Leontodon berinii), il lat- tugaccio dei torrenti (Chondrilla chondrilloides) e il garofanino di Dodonaeus (Epilobium dodonaei).

Magredi  (c). Completiamo  il nostro percorso  nel tratto riguardante  la vegetazione  dei greti fluvio-torrentizi accostandoci  ad  una particolare formazione tipica dell’alta pianura friulana, che compare  sui terreni alluvionali dei principali fiumi del Friuli cen- tro-occidentale. Vengono qui presi in considerazione  i magre- di del Cellina fiume che lambisce a oriente il nostro territorio. Il  Cellina sbocca  in pianura nei pressi di Montereale  Valcellina formando,  con il  contributo di altri torrenti, una  vasta pianura alluvionale. I magredi si sviluppano sui greti, oramai lontani dal rimaneggiamento delle acque, costituiti da ghiaie e ciottoli che conferiscono al suolo caratteristiche di forte permeabilità.

Sui terrazzamenti più recenti detti grave si insedia una    vegetazione pioniera composta  da specie termofile quali fumana comu- ne  (Fumana   procumbens) e  scorzonera  barbuta  (Scorzonera austriaca), a cui si aggiunge un discreto numero  di piante monta- ne  e  subalpine   tipiche  delle quote più elevate come il   amedrio  (Dryas  octopetala), la sesleria comune  (Sesleria varia) e l’eliantemo rupino (Helianthemum oelandicum subsp. alpestre). Tale vegetazione, in una prima fase  piuttosto  frammentata e dispersa, evolve per stadi successivi  verso  formazioni più  p  compatte  e omogenee, i “magredi, mantenendo tuttavia il carattere di landa steppica. Laspetto di prato magro e desolato, restio ad ogni tipo di utilizzazione che non fosse quello del pascolo, ha preservato i magredi dalle pesanti modificazioni, per mano  del- l’uomo, subite invece dai più fertili ambienti circostanti. Caratterizzano l’associazione specie di grande valore naturalisti- co quali: fiordaliso giallo-roseo (Centaurea  dichroantha), viola- ciocca  della  Carnia  (Matthiola   vallesiaca),   cavolo  friulano (Brassica glabrescens) e crambio di Tataria (Crambe tataria) di origine centrasiatica, giunta a noi probabilmente con le invasio- ni unne  del V secolo. Prati aridi (d). Terminata la visita alle aiuole dedicate  agli alvei torrentizi, ritorniamo sul sentiero inghiaiato. Dopo averlo percor- so per una decina di metri in leggera discesa, giriamo decisa- mente  a destra entrando  nel prato che ospita un certo nume- ro di specie  tipiche dei prati  aridi. Vengono definiti prati aridi quelle formazioni erbacee  di collina o di bassa  montagna  che popolano i versanti soleggiati e caldi. I suoli calcarei, primitivi ed incoerenti consentono il rapido deflusso delle acque di precipi- tazione. L’aridità quindi dipende  principalmente dalla natura del terreno  (aridità edafica)  e  non  dalla quantità  di pioggia, pur sempre  abbondante nella nostra regione. Anche il vento riveste un ruolo di primo piano nel già magro bilancio idrico. Difatti la circolazione di aria calda e  secca  inaridisce ulterior- mente  il clima delle stazioni più esposte:  i dossi e i crinali. Contribuiscono  talvolta al  mantenimento  di queste  condizioni gli incen- di che trovano facile esca nelle erbe secche e magre e le utilizzazioni antropiche. Sulle Alpi i  prati aridi rappresentano gli ultimi avamposti di specie “steppi- che che hanno  la loro origine nelle steppe centrasiatiche. Tali sono le graminacee del genere Bromus, Festuca e Stipa (di steppa  appunto). Il bromo, il cui nome  viene usato per  indicare   la  vegetazione   dei   prati magri  in  generale,  i   brometi,  negli

aspetti più freschi (meso-brometi Mb) o  più aridi (xero-bro- meti Xb), è presente  in quasi tutte le associazioni dei prati aridi. Ai mesobrometi appartengono tutte le piante che incontriamo per prime  risalendo  il  prato in cui sono  ospitate:  il  forasacco eretto (Bromus  erectus)  con l’olmaria peperina  (Filipendula vulgaris), il caglio zolfino (Galium  verum),  il  cinquefoglio bianco  (Potentilla alba).  Qui il  suolo  è  più  evoluto,  non  solo  per  le  condizioni ambientali più favorevoli, ma anche grazie alle utilizzazioni da parte dell’uomo che  hanno  migliorato la qualità generale  del suolo e ostacolato con lo sfalcio l’invasione di specie arboree e arbustive. Proseguendo in salita (in direzione  dell’aiuola della faggeta) giungiamo nella parte più alta del prato dove trovano ricovero alcune  specie  dei  xerobrometi  che  provengono  dalla fascia pedemontana  sovrastante  la  pianura,  compresa   fra Vittorio Veneto e Maniago.

Qui la vegetazione xerofila (adattata all’aridità) prealpina si arric- chisce  di specie  mediterranee e  sudorientali  come  la specie guida forasacco condensato (Bromus condensatus), il mediter- raneo vilucchio bicchierino (Convolvulus cantabrica) e poi san- toreggia montana  (Satureja variegata subsp. montana), enula assottigliata (Inula ensifolia) ecc. Nel giardino la coltivazione di piante aridofile è ancora in una fase sperimentale,  dato che le condizioni ambientali della piana del Cansiglio non sono le più favorevoli per queste  specie. Visto i risultati incoraggianti ottenuti  nei  cinque  anni trascorsi dalla piantagione dei primi nuclei, si prevede, nel prossimo futuro, di incrementare il numero  di specie prese fra quelle che rendono ricca e interessante la vegetazione  dei prati aridi.




PRATI NATURALI DEL CANSIGLIO



Terminato il giro dei prati aridi attraversiamo un sentiero inghiaia- to e seguendo l’indicazione di “Punto Panoramico, ci inoltriamo nel percorso  che  ci farà conoscere  alcuni aspetti  dei prati del Cansiglio. Il primo tratto di sentiero costeggia un popolamento a Deschampsia caespitosa (dc).  Questa  graminacea,  disde- gnata  dal bestiame  per  le sue  foglie ruvide e  taglienti, si sta diffondendo  rapidamente grazie alla sua competitività nei con- fronti delle  altre piante  erbacee,  occupando non  solo  i  prati abbandonati  o sottoutilizzati ma anche  radure e boschi radi. Lasciando il popolamento a Deschampsia ci troviamo di fronte ad un gruppo di alti abeti rossi che nascondono una dolina  (do). Dopo aver disceso alcuni gradini giungiamo sul fondo di una fre- sca conca tappezzata  da muschi il cui lato a Ovest è chiuso da una parete rocciosa. Qui emerge  la scaglia grigia che è il tipo lito- logico prevalente  del Cansiglio centro occidentale. La scaglia gri- gia è una roccia calcarea che si differenzia dal calcare di scoglie- ra, compatto  e ricco di fossili, già visto al “Boral del Giaz, per l’e- levato contenuto  di argilla e per l’evidente stratificazione e mag- gior sfaldabilità.

Usciti dalla dolina con- tinuiamo per il sentiero che si snoda lungo una dorsale  prativa e  che culmina nel punto panoramico.   Da qui si può ammirare quasi tutto il Gruppo del Col Nudo-Cavallo: dal Dolada, in parte, al Col Mat al M. Cavallo sino  al M. Pizzoc.      l prato che attraversiamo percorrendo il sentiero costituisce un esempio   dei  prati  e  pascoli  della  piana  del  Cansiglio e  di Valmenera. Sono questi per la maggior parte riferibili al prato pingue  a Festuca nigrescens  e Cynosurus cristatus (festuco- cinosureto)  nelle varie espressioni.  Il festuco-cinosureto (fc) tipico si insedia sugli ambienti più favorevoli e con suolo più o meno  profondo.  La   morfologia del  terreno  e  l’esposizione possono  favorire specie  dei prati magri (mesobrometi) come Bromus erectus, Galium verum, ecc. sui versanti più asciutti e dove la roccia è a tratti affiorante.

Se il  suolo è argilloso e acidificato compaiono  invece specie acidofile quali cinquefoglio tomentillo (Potentilla erecta), spar- viere pelosetto  (Hieracium pilosella), botrichio lunaria (Botrichium lunaria), ecc.

Terminato il sentiero panoramico,  giunti nelle immediate  vicinan- ze dell’ingresso secondario, ci affacciamo verso un gruppo di aiuo- le che ospitano le specie più significative del nardeto montano (Na). La cenosi prende  il nome  da Nardus stricta, una gramina- cea dei suoli acidi dalla caratteristica infiorescenza "a pettine".

Il Nardo o Cervino, che inizialmente popola le stazioni lungamente

innevate su suoli acidi o acidificati, diviene predominante sulle altre specie erbacee per il fatto di essere poco appetita dal bestiame e resi- stente  al calpestio dello stesso.  Leccessivo pascolamento protratto nel tempo favorisce la diffusione dei duri cespi del Cervino,  fra i quali però alcune specie  dalle vistose fioriture possono  compiere  il loro ciclo vitale. Sono queste  la genziana di Koch (Gentiana  kochiana), l’arnica (Arnica montana), l’antennaria (Antennaria dioica) e altre. Pecceta (5d).  Scendendo verso l’ingresso incontriamo il cartellone che  illustra il  bosco  ad abete  rosso o pecceta,  qui presente  con discreti esemplari.

Nella fascia altimetrica più elevata, o nelle  situazioni in cui i fenomeni  di inversione termica si fanno più marcati (es. Cansiglio), le condizioni climatiche ed edafiche non permetto- no la presenza  della faggeta. L’abete rosso diviene così prota- gonista,  dando   vita a  più  o  meno   estese   peccete   favorite anche   dagli  interventi  selvicolturali  che,   g anticamente, hanno  prediletto questa  specie  arborea  per la sua capacità di fornire legname  da opera  e per la sua adattabilità alle condi- zioni climatiche più avverse.

In Cansiglio sono  stati effettuati massicci interventi di rimbo- schimento,  in particolare a cavallo tra le due guerre quando  a causa del fabbisogno elevatissimo di legname, è stato favorito eccessivamente il peccio8  dando vita a boschi artificiali. Spesso però queste  formazioni sono risultate fragili e instabili. Lo testi- moniano  i frequenti schianti da vento e i noti attacchi dell’in- setto Cephalcia arvensis9   che negli anni ’80 defogliò circa 150 ha di pecceta  pura. Gli stessi esemplari arborei presenti in giar- dino  provengono   dai  rimboschimenti   effettuati  prevalente- mente  negli anni 20. Questi boschi in generale sono contrad- distinti da  un  sottobosco  particolarmente  povero.  Tuttavia in qualche  settore  del Cansiglio, e in particolare nelle doline, l’a- bete  rosso  è  accompagnato da  alcune  specie  caratteristiche delle  peccete   sub-alpine:  i  mirtilli   (Vaccinium  myrtillus e  V. vitis-idaea),  le pirole (Moneses uniflora,  Orthilia secunda   e Pyrola minor) e, in una località della foresta, la rara Listera cor- data, poco  osservabile per la sua piccola dimensione.  Ciò fa pensare  all’origine naturale di tali formazioni.

È interessante comunque evidenziare che da studi recenti sui polli- ni effettuati nella torbiera del Palughetto l’abete rosso risulterebbe presente  in Cansiglio già 12.000 anni fa e addirittura 34.000 anni fa in Pian Cavallo (Val Caltea). Questo fa supporre che la zona sia stata un importante centro di diffusione delle specie nel post-glaciale.



PRATI DA SFALCIO


Riguadagnando il sentiero che dalla pecceta  conduce  verso l’uscita visitiamo, dal lato opposto  delle piante officinali, l’arrena- tereto. È questo  l’ambiente tipico dei prati da sfalcio, soggetti ad abbondanti  concimazioni, che per secoli hanno  supportato l’attività agricola storicamente  più importante  della zona: l’alle- vamento  delle vacche da latte. Si tratta in generale  di ambienti ricchi in nutrienti e umidità, sfalciati o moderatamente pascolati. Si possono  incontrare dalle pen- dici prealpine sino alla media montagna  dove tendono  ad evol- versi in triseteti. Un tempo  queste  zone erano coperte da boschi di querce, carpini o faggi, poi con il taglio e il dissodamento dei terreni e la continua concimazione hanno assunto le connotazio- ni tipiche per la zona oggetto di studio e rappresentano il paesag- gio caratteristico dellAlpago.
Il nome arrenatereto  deriva dalla graminacea Arrhenatherum elatius chiamata   anche   avena   altissima (può  raggiungere il  metro  e mezzo di altezza),  foraggera  vigorosa che contraddistingue in particolare il primo sfalcio. Normalmente in que- sti prati si effettuano  due  o tre tagli ma  talvolta, nelle stazioni più fortu- nate,  anche  quattro, grazie al clima mite e all’elevata piovosità estiva della zona.
Gli arrenatereti hanno una composi- zione floristica generalmente  elevata che arriva a contenere sino a 60-70 specie ogni 100  metri quadrati di superficie.
Ogni singolo  taglio si differenzia dal successivo per la composizione delle  specie:
nel primo taglio, normalmente effettuato  alla fine del mese  di maggio, prevalgono  le graminacee  quali Arrhenatheum   elatius, Anthoxanthum odoratum, Poa pratensis; le composite Taraxacum gr. officinalis, Leucanthemum vulgare, Achillea roseo-alba e varie leguminose come Lotus cornicolatus e Trifolium pratense;
 

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