I
Valori fitogeografici
Di Cesare Lasen
Il territorio qui considerato è situato,
notoriamente, presso un’area di confine tra
due
importanti regioni biogeografiche, quella alpina e quella dinarico-balcanica.


Si
tratta di un territorio in cui i livelli di cono- scenza sono assai differenziati ma, nel com- plesso, si dispone
di una cospicua letteratu-
ra geobotanica che poggia su due
compo- nenti determinanti: da un lato la foresta
del
Cansiglio, che rappresenta
un unicum
straordinario e sulla quale si sono cimentati numerosi studiosi, come risulterà dalla breve
rasse- gna bibliografica che sarà riportata
alla fine del presente capitolo; dal- l’altro il fatto che i settori apparte- nenti alla Regione Autonoma Friuli- Venezia Giulia
sono stati
indagati in modo dettagliato
dal prof. Poldini e dai suoi collaboratori. Questa Regione, infatti, è stata la prima in Italia a pubblicare un atlante corologico con la distribuzione per aree di base delle
specie di flora vascolare e dispone di una serie di contri- buti floristici e
geobotanici che non trovano riscontro
altrove se non, forse, nella Provincia Autonoma
di Trento. Ciò non signi- fica che i livelli
di conoscenza siano del tutto esaustivi e alcu- ne aree, quali l’Alpago ad esempio, risultano
certamente meno
conosciute e mancano di check-list aggiornate.
Altro elemento determinante per spiegare l’elevata biodiversità del territorio è legato alla posizione
marginale, a ridosso della pianura Veneta, con rilievi prealpini che intercettano correnti oceaniche apportatrici
di umidità. Le elevate precipitazioni (da
1700 a oltre 2500 mm
l’anno) favoriscono una vegetazione lussureggiante che
viene contrastata solo da situazioni edafi- che
(forte acclività e
terreni assai superficiali) molto primitive
in cui si esprime bene la vegetazione pioniera dei substrati
cal- careo-dolomitici, ovunque
dominanti.
BREVE SINTESI STORICO-BIBLIOGRAFICA
Il
territorio considerato è stato oggetto di numerosi
contributi.
Tra i più recenti, Lasen (2000) presenta
una sintesi
dei valori biogeografici inerenti il Cansiglio riportando una bibliografia già selezionata che, tuttavia, merita
di essere richiamata, sia pure in modo
molto sintetico.
carsico, che giustamente può essere considerato il nucleo centrale del territorio in oggetto, si hanno dati storici sulla gestione e singole segnalazioni flo- ristiche, riportate nelle flore nazionali e regionali dell’epoca. Si deve arrivare alla seconda metà del secolo scorso, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, per registra- re un notevole impulso delle ricerche, con le prime considerazioni fito- geografiche (ad esempio sui fenome-ni di inversione termica), le prime check-list delle riserve naturali, le sotto- lineature sul valore delle zone umide. A questo periodo risalgono anche le ben note e fondamentali ricerche di Hannes Mayer (con la guida di Hofmann) sui boschi di abete bianco
del
versante meridionale delle
Alpi.
Più o meno contempora- neamente, anche nel settore friulano, sotto la spinta
del prof. Poldini e dei suoi
collaboratori, sono state avviate ricerche
sistematiche che hanno portato, a partire soprattutto dalla fine degli anni ’80 e per tutto il decennio successivo, sia a liste flo-
ristiche complete (il
sopraccitato primo atlante
corologico regionale italiano), che a sintesi fitosociologiche sui diversi ambienti.
Questo territorio, peraltro,
non è mai stato trattato unitariamente e, se si escludono le perle più note
e frequentate, di alcune valli laterali e marginali
non si hanno notizie pubbli-cate. Probabilmente solo dalle liste flori- stiche di campagna
dei singoli
ricercatori, si possono
trarre
indicazioni puntuali e meno
generali. Non mancano, infatti,
contributi che affrontano in termini com- plessivi l’intero territorio prealpino veneto e friulano, ma si tratta di indicazioni di carattere divulgativo che
poco aggiungono
a quanto noto. Nell’ultimo decennio, inoltre, sono state condotte
ricerche a livello di tesi dilaurea, che hanno
poi ispirato contributi scien- tifici. Numerose
le segnalazioni di carattere floristico, soprattutto ad opera
di C. Argenti per i versanti
bellunesi e di S. Costalonga e R. Pavan per quelli friulani.
Si
desidera qui ringraziare
in particolare
gli
amici Carlo Argenti di Belluno e Severino Costalonga di Sacile
che cortesemente
hanno messo a disposizione i loro dati, davvero molto importanti, con segnalazioni nuove che hanno sensibilmente incrementato le
conoscenze flo- rocartografiche di questo
settore.
EMERGENZE
FLORISTICHE
Più
che una sintesi tradizionale dei valori floris ci, che rischierebbe di risultare simile a quel
territori limitrofi, sembra più efficace
prospettare una
tabella a pagg. 36-37 che riassume
la presenza, suddivisa nelle tre province, delle specie ritenute
più significative per la loro rarità e vulnerabilità. La recente pubblicazione
della lista rossa di Belluno (ARGENTI & LASEN,
2004) consente
di indi- care, per questa provincia, anche il livello di minaccia, dalle CR (gravemente
minacciate, a forte rischio di estinzione, almeno a livello locale), alle EN (minacciate), alle vulnerabili (VU).
Per non aumentare troppo il numero di specie in
lista, si è optato per escludere, tranne
poche eccezioni, le NT, cioè le specie quasi
a rischio,
che oggi non corrono perico-
li
immediati ma che è bene tene-
re sotto controllo. Nella tabella,
in ordine alfabetico, si indica- no anche:
l’habitat
elettivo (sintetizzato), la forma biolo- gica e l’elemento corologico, indicazione sintetica
che for- nisce l’idea
del territorio in cui gravita
la
specie (da quelle
cosmopolite, diffuse in tutti i continenti, a quelle endemiche,
ristrette alle Alpi, o
a
un
settore
ancora
più limitato, ad esempio le Alpi sudorientali). Per Treviso e
Pordenone ci si limita
a indicare le presenza senza attribuzione di un livello di minaccia. Si era, in effetti, pensato di indicare
la classificazione proposta nelle liste rosse regionali (CONTI, MANZI
& PEDROTTI, 1997),
ma sarebbe stato troppo
disomogeneo con la scelta
effettuata per Belluno.
Le attuali conoscenze sulla
flora vascolare del territorio consentono di
rilevare valenze assai superiori alla media, a conferma degli elevati
valori biogeografici. Non mancano peraltro elementi di fragilità che confermano la necessità di attuare azioni di tutela e, soprattutto, di monitoraggio.
Dalla tabella emergono chiaramente gli ambienti
più vulnerabili (zone umide, prati, ambienti termofili submediterranei,
ecc.). Spicca l’elevato numero di specie a rischio tra quelle a distribuzione eurimedi-
terranea, ma non mancano le temperato- fredde (circumboreali ed eurosibiriche).
Tra le altre fasce di rilevante interesse
biogeografico va annoverata
quella collinare- pedemontana ricca
di residui prati arido-
steppici. Assai significativo è
il contributo delle specie a gravitazione illirica e sudorientale.
In
Pian Cansiglio e nelle depressioni prative che caratterizzano l’altopiano, le residue lame e
pozze sono ambienti di eccezionale interesse, e non solo per le valenze floristiche.
Illoro contributo alla bio- diversità, e anche
alla funzionalità ecosistemica,
è certamente straordinario. Per altri versi, le sponde fango-
se del Lago di Santa Croce,
pur così vulne- rabili e soggette a pressioni
antropiche non trascurabili, offrono rifugio a entità specializzate
ormai assai rare per la progressiva
bonifica delle zone umide.
Tra i biotopi
di rilevante interesse vege- tazionale, già segnalati dalla Società Botanica e ripresi negli studi preli- minari al PTP (Piano Territoriale Provinciale di Coordinamento),
vi era il versante
Sud-Est del Monte Dolada.
Gli eccezionali ambienti prativi, soprattutto xerotermofili,
stanno
evolvendo verso
formazioni arbustive, con perdita di importanti siti
di
orchidee (ad esempio
la stazione
di Herminium monorchis a
Curago) e dei bei prati in cui le smaglianti fioriture di asfodeli,
narcisi, paradisia, Hemerocallis, ecc. sono sempre meno vistose. Si salva la cresta con le note
stazioni di Geranium argenteum, Androsace villosa, Eritrichium
nanum. Come ricorda
Poldini in un suo contributo (solo
in apparenza divulgativo) del 1982,
la zona delle Prealpi
Clautane accoglie elementi di
eccezionale
valore fitogeografico che
meglio di altri caratterizzano il territorio. Qui si localizzano le estreme pene- trazioni insubriche, con Festuca alpestris, Leontodon tenuiflorus, Hymenolobus pauciflorus ecc., e
anche specie orientali gravitanti
all’estremità occidentale del proprio areale
(Festuca laxa, Thlaspi minimum, Gentiana
froehlichi, Primula wulfenia- na). Per endemismi dolomitici quali Campanula morettiana e Primula tyrolensis si tratta delle
stazioni più sudorientali del loro areale.
La componente endemica
Geranium argenteum |
locale è rappresentata da altre pre- gevoli entità quali: Galium marga- ritaceum, Spiraea
decumbens subsp. tomentosa, Leontodon berinii e, soprattutto, da Arenaria
huteri. Da citare inoltre
che anche Lembotropis emeriflorus, con le importanti stazioni disgiunte, rispetto all’areale insubrico, pur se localizzato appena fuori,
in
sinistra idrografica del Cellina,
contribui- sce ad arricchire questo territorio.
Analogamente va ricordato,
in
ambienti simili, l’eccezionale e recente rinvenimento di una specie illirico-balcanica, Daphne bla- gayana. Di estremo
rilievo, infine, la sco- perta e la descrizione di una specie
carni- vora vegetante su rupi stillicidiose e dedi- cata
appunto
al prof. Poldini, Pinguicula poldinii, anch’essa nota per i rilievi collina-
ri
prealpini situati nei pressi di Tramonti , poco a Est del territorio in esame.
IL QUADRO VEGETAZIONALE
Dalla pianura ai 2471 m del Monte
Col Nudo sono rappresentate tutte le fasce altimetriche e 4 dei 5 piani
di
vegetazione (PIGNATTI, 1979), con la sola eccezione della
fascia mediterranea.
Nella fascia cosiddetta medio-eruopea, che dalla pianura e dai fondovalle risale i versanti soleggiati fin verso i 1000 m di altitudine, dominano i boschi misti di latifoglie, soprattutto di querce e carpini. A causa dell’azione antropica, generalmente più intensa
in prossimità della pianu- ra
e del fondovalle, i boschi sono stati sostituiti da colture agrarie (peraltro
marginali in questo
territorio) o da prati e pascoli (in passato certamente
assai più estesi e utilizzati). Rispetto alla situazione potenziale si osserva una ridotta
partecipazione delle querce, determinata sia da fattori
climatici naturali (elevata oceanicità) che da selezione
selvicoltu-
rale, essendo noto che la ceduazione fre- quente favorisce soprattutto il carpino nero. Gli ornoostrieti sono, infatti, i boschi più
diffusi in tutta la fascia submontana, su versanti acclivi. I suoli
sono
spesso poco profondi e impostati su falde
di origine detritica. Gli ostrieti primitivi che vi sono insediati presentano una composizione floristica simile a quella delle pinete con specie che tollerano assai bene
le variazioni di
umidità dovute al ruscellamento superficiale
(l’ab- bondanza di Erica carnea è un buon indizio).
Soltanto su versanti meno ripidi, in
cui il suolo non viene dilavato, si notano apprezzabili
partecipazioni di specie
più esigenti, in particolare
carpino bianco, specialmen-
te a Nord. Interessante è la situazione di alcuni ambienti
più umidi (che poggiano su rocce flyschoidi) in Alpago. Qui sono diffusi lembi di aceri-frassineti di buon valore naturalistico (località Torch, Valzella). Nelle forre dei versanti friulani si riscontrano anche aceri-tiglieti.
Tutti
gli ambienti di forra, che esprimono elevata
naturalità, sono floristicamente e naturalisti- camente importanti. L’habitat 9180 delle formazioni del Tilio- Acerion è considerato
prioritario dalle direttive comunitarie. Di esso vi sono tracce importanti anche nella fascia
bassomonta- na, nella foresta del Cansiglio (Lunario-
![]() |
Erica carnea |
Acerion). Di rilevante
e assoluto valore vegetazionale sono
i lembi residui di prati aridi,
dislocati soprattutto
nella fascia collinare del Vittoriese. Essi includono
entità termofile, submediterraneo-steppiche, a gravitazione orientale. Spesso questi siti ospitano una ricca fioritura di
orchidee e in tal caso rientrano nell’habitat di Natura 2000,
il 6210,
considerato prioritario. Si tratta di brometi, stipeti e, soprattutto,
crisopogoneti.
Al margi-ne, tra i prati, oggi sempre più spesso abbandonati, compresi quelli pingui e un tempo regolarmente falciati e concimati, detti arrenatereti, e i boschi cedui, si differenziano consorzi di orlo, cioè comunità che caratterizzano i margini tra il prato e il bosco, rientranti nell’alleanza Geranion sanguinei, ambiente ottimale per molte
Al margi-ne, tra i prati, oggi sempre più spesso abbandonati, compresi quelli pingui e un tempo regolarmente falciati e concimati, detti arrenatereti, e i boschi cedui, si differenziano consorzi di orlo, cioè comunità che caratterizzano i margini tra il prato e il bosco, rientranti nell’alleanza Geranion sanguinei, ambiente ottimale per molte
entità divenute ormai rare. Le zone più antropizzate, con vigneti, frutteti
e piccole colture
agrarie, sono pure assai interessan- ti per la conservazione della biodiversità anche se raramente ospitano specie rare in assoluto.
La fascia subatlantica, che corrisponde sostanzialmente a quella montana, da 800-900 a 1400-1600 m, è caratterizzata dalla prevalenza di faggete e boschi misti di faggio e abete bianco. Essa è molto ben rappresentata e produce legname di pregio, una ricchezza da molti secoli sfruttata. Qui vegetano i boschi più rigogliosi che denotano tale unità geografica. Dalle faggete termofile dei versanti esterni (habitat 9150 del Cephalanthero-Fagion) si passa alle faggete dei suoli mesici evoluti (9130), a quelle altimontane ricche di megaforbie (esempio eccellente sul Croseraz) 9140, agli abieteti.
Nelle depressioni del Cansiglio si osservano anche peccete di dolina, in parte favorite da interventi selvicolturali, in parte anche da fenomeni di inversione termica. Talvolta, su prati abbandonati, l’abete rosso si comporta da specie pioniera. Nelle faggete e nei boschi misti con abete bianco si rinvengono specie altrove rare in tutte le Alpi Orientali, ad esempio Veronica montana, a distribuzione centroeuropea, come l’ancor più rara Cystopteris sudetica, da pochi anni acquisita alla flora italiana. Quest’ultima predilige boschi misti maturi e può essere considera- ta un ottimo bioindicatore. Il corredo floristi- co è assai ricco di componenti orientali come dimostra l’abbondanza di
![]() |
Veronica montana |
il
sottoutilizzo, l’elevata umidità e
la p senza di cospicue colonie
di cervi fav scano la diffusione di Deschampsia c spitosa, in assenza
di interventi regol di falciatura o di pascolamento razio le. Di notevole valore
sono le lame e g altri biotopi umidi che, oltre a increme tare la biodiversità, rappresentano ha tat elettivi e fondamentali per la ripro zione di molte specie animali. Nume sono le entità di lista rossa presenti
insiti. Di valore eccezionale, ad esempio
il noto Lamaraz
di Pian Cansiglio, sono le depressioni del Rhynchosporion che ospita- no
anche la Drosera rotundifolia. In linea generale
tutte le sor-
genti, gli specchi d’acqua, le lame, anche
se non
dovessero ospitare
specie di particolare pregio,
sono da ritenersi essenzia- li per la funzionalità dell’ecosistema e ad esse, opportunamen- te, sono state
dedicate specifiche attenzioni come
si evince dalla bibliografia.
L’elevata oceanicità del clima,
solo in parte attenuata nell’altopiano e in Val Cimoliana da fenomeni di continentalismo, su base prevalentemente termica, che non a caso favoriscono la competitività delle conifere, è osservabile in tutto il bacino con- statando
il livello
basso del limite del bosco, che si attesta
sui 1700 m di quota e, per effetto
crinale, anche più in basso. Il passaggio dalla fascia
montana a quella altimontana è graduale e segnalato
dal portamento degli
alberi, con altezze via via minori e accentuazione della
tipica ginocchiatura alla base. Anche la composizione floristica cambia, arricchendosi di entità più microterme, tipiche
degli arbusteti subalpini e degli ambienti lungamente innevati. Spiccano in particolare i cespuglieti, ricchi di salici
di varie specie
(soprattutto Salix appendiculata, S. glabra, S. hastata, S.
waldsteiniana), di
ontano
verde, di rododendri, di ginepri nani, di
felci. Un ruolo del tutto particolare
è quello svolto dal pino mugo, specie emblematica di tutta l’area dolomitica e prealpina. Nella fascia esterna,
esalpica, manca
un vero bosco di
conifere e la faggeta viene quindi a contatto diretto con le mughete.
Per motivi orografici si
sviluppano spesso faggete primitive ricche di pino mugo e rodo- dendro
irsuto. A quote elevate, in stazioni di dosso
o crinale,
dilavate, anche aspetti
acidofili con rododendro ferrugineo (es. sul
Guslon). Tuttavia le mughete non occupano solo questa fascia subalpina
di arbusti nani, ma scendono spesso lungo i versanti detritici fino ad occupare stazioni di fondovalle, feno- meno particolarmente evidente nel bacino del Cellina. La mugheta microterma basifila con rododendro irsuto è conside- rata habitat prioritario (4070) dalle direttive
comunitarie. Le radure sono spesso ricche di megaforbie e le popolazioni di ungulati, non meno dell’avi- fauna, svolgono un ruolo importante. Queste presenze segnano il passaggio dalla fascia subatlantica a quella boreale, in genere rappresentata da boschi di conifere ma qui di ridotto spessore per motivi orografici che si sommano a quelli climatici. In questa fascia boreale, oltre agli arbusteti, in cui singoli esemplari di faggio si spingono fin verso i 1700
m di quota, si notano le praterie subal- pine,
in passato generalmente pascolate e ggi sempre
più spesso ricche di camefite, in particolare
ericacee nane. Le vere
praterie alpine primarie rientrano infatti nella fascia alpica, a quote superiori ai 2000-2200 m,
quindi in corrispondenza di ambienti fortemente
glacializzati. Le conche subnivali del Monte Cavallo sono anch’esse uno scrigno
di biodiversità, meritevole di essere
attentamente studiato anche
per il ruolo di nunatakker
(isole rocciose
rimaste libere dai ghiacci in cui alcune specie hanno trovato
rifugio per sopravvivere)
svolto nelle glaciazioni quaternarie. Di qui la presenza di entità relittiche, subendemiche o al mar- gine dell’areale,
con significative disgiunzioni
(Geranium argenteum, Arabis vochinensis, Festuca laxa, Grafia golaka).
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Salix waldsteiniana) |
Arabis vochinensis |
molto superficiali o addirittura privi di humus) e azonali (non legati a una particolare fascia altitudinale). Rupi e detriti, qui anche a quote basse, ospitano la più nobile flora alpina, con eccezionali fioriture e presenze importanti di endemiti.
Di valore fitogeografico unico sono le pareti strapiombanti al riparo delle piogge battenti con l’en- demica stretta Arenaria huteri (POLDINI L., MARTINI F., 1976), che dai versanti della destra idrografica del Cellina (Vajont, Prescudin, Messer) raggiunge anche stazioni bellunesi.
Di valore fitogeografico unico sono le pareti strapiombanti al riparo delle piogge battenti con l’en- demica stretta Arenaria huteri (POLDINI L., MARTINI F., 1976), che dai versanti della destra idrografica del Cellina (Vajont, Prescudin, Messer) raggiunge anche stazioni bellunesi.
La comunità vegetale
più diffusa sulle pareti rocciose, con elevata umidità
relativa
ma non troppo ombrose,
è
l’associazione ende- mica Spiraeo-Potentilletum cau- lescentis, descritta
da Poldini (POLDINI, 1973). In simili condi-
zioni ecologiche, in ambienti ancora
più di
forra, è diffuso
il Phyteumateto-Asplenietum seelosii. Sulle rupi ombrose, con stillicidi, i diversi aspetti del Cystopteridion
con aggruppamenti a Carex brachy stachys (talvolta anche presso
la base,
nei
detriti di sottoroccia)
e
a Valeriana elongata (tipici di quote elevate). Tra gli ambienti muscosi delle pareti carsiche del Cansiglio, sono diffusi aspetti a Sedum hispanicum, ancora da studiare.
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Carex brachy |
Sui detriti,
che rivestono notevole importanza, anche
paesaggistica, in alcuni settori
del comprensorio, basti pensare
al fascino
della Val Salatis, sono diffuse diverse comunità. Dallo Stipetum calamagrostidis delle ghiaie assolate soggette
a ruscellamento intenso,
al Moehringio-Gymnocarpietum delle pietraie
della fascia montana, al Petasitetum paradoxi che colonizza lave tor-
rentizie a qualsiasi quota, al Papaveretum
rhaetici
che occupa i ghiaioni
lungamente innevati
di quota elevata. Su
sabbie e detri- to
più fine, anche l’Athamantho-Trisetetum argentei
è ben rappresentato. La peculiarità fitogeografica più interessante
di que- sta zona è quella rappresentata dal Festucetum laxae, di chiara
impronta illirica, che occupa,
su detrito abbastanza grossolano,
versanti montano-subalpini
ben soleggiati in estate.
Numerose sono le
rarità
floristiche che
insistono in questi ambienti,
generalmente poco vulnerabili
ma che
riflettono la storia più nobile di un territorio, con specie relittiche sopravvis-
sute alle glaciazioni quaternarie e altre,
di origine recente, che si sono differenziate proprio in questo periodo (Asplenium fissum, Alyssum ovirense, ecc.).
Tra gli altri ambienti azonali
meritevoli di citazione, si rammen- tano i greti e gli alvei fluviali, che per la loro capacità di rigene-
razione offrono spesso spunti interessanti e meritano sempre un’attenta
ricognizione. Purtroppo sono note le vicende
del dissesto idrogeologico che interessa
soprattutto il bacino dell’Alpago
(basti citare la frana del Tessina e, triste memoria, la
tragedia del Vajont). Ne consegue che
è difficile poter osservare ambienti stabilizzati in cui il regime idrologico non sia stato alterato da interventi antropici. Di qui la precarietà di molti popolamenti.
Tra i ciottoli dei greti di bassa quota va citato soprattutto l’endemico Leontodonto berinii-Chondrilletum. Consorzi a Calamagrostis pseudophragmites sono pure ben differerenziati, così come i nuclei arborei del Salicetum eleagni, talvolta ricchi di olivello spinoso (Hippophae rhamnoides). Raramente si presentano situazioni più mature evolventi verso l’Alno incanae-Pinetum sylvestris.
Tra i ciottoli dei greti di bassa quota va citato soprattutto l’endemico Leontodonto berinii-Chondrilletum. Consorzi a Calamagrostis pseudophragmites sono pure ben differerenziati, così come i nuclei arborei del Salicetum eleagni, talvolta ricchi di olivello spinoso (Hippophae rhamnoides). Raramente si presentano situazioni più mature evolventi verso l’Alno incanae-Pinetum sylvestris.
Appena all’esterno del territorio in esame si segnala
l’esisten- za di un tipo di habitat assolutamente straordinario e di premi- nente valore fitogeografico, i cosiddetti “magredi”, sui quali fin
dagli anni ’70 si sono
concentrati studi e ricerche che hanno evidenziato l’originalità di
queste comunità erbacee sviluppate
sui suoli magri e alluvionali dei greti torrentizi. La situazione è purtroppo peggiorata a
seguito delle pressioni esercitate dall’a- gricoltura specializzata (vite) e del rimaneggiamento causato
da attività estrattive. Altrove anche attività sportive e piccole discariche abusive penalizzano la conservazione di questo eccezionale habitat
che alberga specie floristiche di
valore fito- geografico con endemismi e disgiunzioni. Di carattere azona- le, anche se
gravitano in genere
nella fascia
submontana e bassomontana, sono le pinete, formazioni con pino nero e/o pino silvestre, che popolano ambienti rupestri
e suoli primitivi soggetti a forti variazioni di umidità. Il loro corredo floristico è sempre assai
interessante. Si tratta
di ambienti che difficilmen-
te per le condizioni orografiche hanno possibilità evolutive, se non in tempi molto lunghi
ed esse diventano
così, pur rappre- sentando
stadi primitivi della serie, una componente stabile, e anche esteticamente gradevole,
del paesaggio. Nelle pinete
a pino nero, che
rientrano nell’Orno-Ericion con Chamaecytisus purpureus e Thesium rostratum specie guida (non corrispondo- no necessariamente alle caratteristiche in senso fitosociologico, in quanto possono non essere esclusive di quell’unità vegetazio-
nale, ma sono
altamente indicative) spiccano altri elementi
a gravitazione orientale
quali Knautia ressmannii
ed Euphorbia kerneri, con Allium
ochroleucum, Euphrasia cuspidata, Campanula
thyrsoides
e altre entità relativamente rare e di interesse fitogeografico.
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Allium ochroleucum |
Nelle radure boschive si possono osservare diverse
altre comunità vegetali, ognuna
delle quali fornisce utili informazio-
ni sui fattori ecologici prevalenti. Così, ad esempio, nella fore- sta del
Cansiglio si segnala l’Atropion, con
la rara ma
assai vistosa e velenosa belladonna,
gli aggruppamenti a Epilobium angustifolium, soprattutto in prossimità di casère e nelle taglia- te
a quote elevate, cenosi a lampone (Rubetum idaei),
prene- morali, che stanno colonizzando e chiudendo radure prative, aspetti di degradazione in ambienti più umidi con Eupatorium
cannabinum e Solanum dulcamara. Assai
ben rappresentati
anche i megaforbieti tipici dell’alleanza Adenostylion che
caratterizzano luoghi freschi
e lungamente innevati, ricchi di nutrienti.
Notevoli, ad esempio, comunità a dominanza di Senecio cordatus o di Impatiens noli-tangere. Anche la vegetazione sinantropica, spesso considerata banale, contribuisce ad arricchire la biodiversità. Non è raro il caso che essa possa ospitare autentiche rarità floristiche. Si citano i casi di Spergula arvensis che sopravvive presso una lama del Cansiglio, di Peplis portula che occupa le sponde fangose e soggette a cal- pestio di altre lame. Il contributo delle attività agrosilvopastora- li tradizionali, quindi non distruttive, alla bioversità di questo territorio è innegabile. Certamente alcu- ni ambienti risentono di sfruttamenti intensivi che hanno impoverito i suoli e che rendono boschi e pascoli più magrie meno produttivi rispetto alle loro caratte- ristiche potenziali. Si trattava, peraltro, di assi- curare la sopravvivenza alle popolazioni locali.
Notevoli, ad esempio, comunità a dominanza di Senecio cordatus o di Impatiens noli-tangere. Anche la vegetazione sinantropica, spesso considerata banale, contribuisce ad arricchire la biodiversità. Non è raro il caso che essa possa ospitare autentiche rarità floristiche. Si citano i casi di Spergula arvensis che sopravvive presso una lama del Cansiglio, di Peplis portula che occupa le sponde fangose e soggette a cal- pestio di altre lame. Il contributo delle attività agrosilvopastora- li tradizionali, quindi non distruttive, alla bioversità di questo territorio è innegabile. Certamente alcu- ni ambienti risentono di sfruttamenti intensivi che hanno impoverito i suoli e che rendono boschi e pascoli più magrie meno produttivi rispetto alle loro caratte- ristiche potenziali. Si trattava, peraltro, di assi- curare la sopravvivenza alle popolazioni locali.
In anni più recenti
non sono invece
mancati interventi ecologicamente
assai discutibili quali i rimboschimenti con conifere, le lavorazioni meccaniche con le successive risemine nei pascoli,
la manomissione di depressioni umide.
Cesare Lasen, nato nel 1950 in una frazione omonima (comune di Feltre), vive in un paesino alle pendici del Monte S. Mauro (Vette Feltrine). Proveniente da una famiglia di contadini, gente povera, abituata alla dura vita di montagna, a fare tanto con poco, a non sprecare niente, ad imparare la legge della natura e a conviverci, dapprima è riuscito a diplomarsi perito chimico e poi a laurearsi in Scienze Biologiche.
Per 4 anni lavora al Centro Ricerche Termiche e Nucleari a Milano, ma il richiamo della sua terra e delle sue radici è troppo forte, gli mancano l'aria, i fiori, le montagne… Così ritorna a Feltre per dedicarsi all'insegnamento nelle scuole medie e superiori rivolgendo il suo interesse alla botanica, in particolare alla floristica, fitosociologia e geobotanica. La sua passione lo porta ad occuparsi di studi ecologici e applicativi, con particolare attenzione ai problemi della tipologia forestale, dei prati e di tutti gli habitat di "Natura 2000", ma in particolare dei temi connessi alla conservazione della natura e della valutazione della qualità e dell'impatto ambientale. Non si contano a tal proposito le consulenze, le collaborazioni con università, i convegni ai quali ha partecipato, gli studi e le pubblicazioni scientifiche.
Molti sono anche gli incarichi e le collaborazioni che ha ricoperto o ricopre presso istituzioni, archivi, comitati o redazioni: presidente dell'associazione editrice della rivista "Le Dolomiti Bellunesi", collaboratore dell'Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore, della Fondazione Angelini "Centro studi per la Montagna", primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (dal 1993 al 1998), componente del Comitato Scientifico Centrale del Cai, della Commissione Centrale Protezione Natura Alpina, presidente del Gruppo di Lavoro per i Parchi, membro della Giunta della Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, componente della Consulta Tecnica Nazionale per le aree naturali protette. Sui progetti delle aree SIC e Rete Natura 2000 ha lavorato per conto della Regione Veneto, della Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige e della Provincia Autonoma di Trento nella realizzazione di manuali di interpretazione degli habitat e per la redazione di cartografie vegetazionali di interpretazione degli habitat.
Ma la sua attività di ricerca lo impegna soprattutto nelle montagne dolomitiche dove, se per caso lo si incontra lungo un sentiero, in qualche cengia, viàz o ripido pendio, con il berretto da pescatore in testa, con quella borsa in tela che tiene a tracolla sul davanti – ci mette le piante per il suo erbario –, piegato con il busto verso il terreno, intento ad osservare una pianta, a fotografare un fiore o tutto preso con la lente d'ingrandimento per riconoscere una specie, non si direbbe di trovarsi davanti ad uno dei massimi botanici italiani. Ma lui è uno così: unisce la grande capacità di muoversi in terreni difficili e con grandi dislivelli, alle conoscenze tecnico-scientifiche che gli servono per studiare quella pianta o quell'ambiente.
Cesare Lasen, nato nel 1950 in una frazione omonima (comune di Feltre), vive in un paesino alle pendici del Monte S. Mauro (Vette Feltrine). Proveniente da una famiglia di contadini, gente povera, abituata alla dura vita di montagna, a fare tanto con poco, a non sprecare niente, ad imparare la legge della natura e a conviverci, dapprima è riuscito a diplomarsi perito chimico e poi a laurearsi in Scienze Biologiche.
Per 4 anni lavora al Centro Ricerche Termiche e Nucleari a Milano, ma il richiamo della sua terra e delle sue radici è troppo forte, gli mancano l'aria, i fiori, le montagne… Così ritorna a Feltre per dedicarsi all'insegnamento nelle scuole medie e superiori rivolgendo il suo interesse alla botanica, in particolare alla floristica, fitosociologia e geobotanica. La sua passione lo porta ad occuparsi di studi ecologici e applicativi, con particolare attenzione ai problemi della tipologia forestale, dei prati e di tutti gli habitat di "Natura 2000", ma in particolare dei temi connessi alla conservazione della natura e della valutazione della qualità e dell'impatto ambientale. Non si contano a tal proposito le consulenze, le collaborazioni con università, i convegni ai quali ha partecipato, gli studi e le pubblicazioni scientifiche.
Molti sono anche gli incarichi e le collaborazioni che ha ricoperto o ricopre presso istituzioni, archivi, comitati o redazioni: presidente dell'associazione editrice della rivista "Le Dolomiti Bellunesi", collaboratore dell'Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore, della Fondazione Angelini "Centro studi per la Montagna", primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi (dal 1993 al 1998), componente del Comitato Scientifico Centrale del Cai, della Commissione Centrale Protezione Natura Alpina, presidente del Gruppo di Lavoro per i Parchi, membro della Giunta della Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, componente della Consulta Tecnica Nazionale per le aree naturali protette. Sui progetti delle aree SIC e Rete Natura 2000 ha lavorato per conto della Regione Veneto, della Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige e della Provincia Autonoma di Trento nella realizzazione di manuali di interpretazione degli habitat e per la redazione di cartografie vegetazionali di interpretazione degli habitat.
Ma la sua attività di ricerca lo impegna soprattutto nelle montagne dolomitiche dove, se per caso lo si incontra lungo un sentiero, in qualche cengia, viàz o ripido pendio, con il berretto da pescatore in testa, con quella borsa in tela che tiene a tracolla sul davanti – ci mette le piante per il suo erbario –, piegato con il busto verso il terreno, intento ad osservare una pianta, a fotografare un fiore o tutto preso con la lente d'ingrandimento per riconoscere una specie, non si direbbe di trovarsi davanti ad uno dei massimi botanici italiani. Ma lui è uno così: unisce la grande capacità di muoversi in terreni difficili e con grandi dislivelli, alle conoscenze tecnico-scientifiche che gli servono per studiare quella pianta o quell'ambiente.
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